Il thema decidendum della controversia
Il contenzioso scaturiva in seguito ad un controllo della Guardia di Finanza di Ascoli Piceno – su segnalazione della GdF di Torino - in ordine al quale veniva recuperato un imponibile Iva non detraibile per €. 1.993.561,00 (per l’anno di imposta 2006), ritenendo che parte della merce acquistata (alluminio in parti e non in lastre) non poteva essere assoggettata al regime “normale” Iva, ma piuttosto al principio dell’inversione contabile (cfr. Cass. n° 1607 del 2008[1]).
La società, impugnando l’avviso di accertamento, censurava la tesi accusatoria dell’Ufficio, sostenendo che: a) gli acquisti in esame avevano ad oggetto effettivamente lastre di alluminio, utilizzate successivamente per la produzione interna e b) taluni documenti contabili erano riferiti ad altri anni di imposta (2005 e 2007), mentre l’anno accertato era invece il 2006, quindi le citate fatture ed i documenti di trasporto erano inutilizzabili nel processo in esame.
La decisione
Ebbene, i giudici aditi, accogliendo il ricorso del contribuente, sono approdati alla conclusione che gli elementi probatori raccolti a carico del ricorrente erano del tutto inidonei a comprovare la diversa tipologia dei beni acquistati, in quanto “dalla documentazione indicata, a prova della natura della merce acquistata, non si evince alcun elemento che possa deporre a favore della tesi dell’Ufficio, infatti i pochi elementi indicati rappresentano sporadici fatti peraltro verificatisi in periodi diversi”.
In altre parole, al fine di rettificare il regime Iva adottato dal cessionario (da quello ordinario al meccanismo dell’inversione contabile), laddove la scelta fiscale da applicare è congiunta alla tipologia/natura del bene acquistato, è fondamentale che i verificatori (nel caso di specie la Guardia di Finanza) provvedano a verificare “le giacenze del magazzino” al momento del loro accesso presso la sede del contribuente, appurando altresì concretamente (e non presuntivamente) “il processo di lavorazione” adottato su detta merce.
Nella fattispecie in parola, in difetto del reale controllo al magazzino del soggetto accertato, la Commissione Tributaria Provinciale adita ha ritenuto di non elevare al rango di prova la conclusione dell’Ufficio, poiché durante la fase istruttoria, volta all’acquisizione di elementi gravanti sul contribuente (richiamati in seguito nel Processo Verbale di Constatazione della Guardia di Finanza di Ascoli Piceno), non erano stati rinvenuti gli “elementi principe”, i quali “avrebbero potuto di fatto acclarare l’acquisto e l’utilizzo di parti e non di lastre”.
In conclusione, alla luce dell’impianto probatorio illustrato nella verifica fiscale effettuata presso la sede della società ricorrente, non vi era “concreta certezza” che la contribuente avesse “acquistato parti in luogo di lastre se non su congetture basate su pochissimi documenti riferiti ad altre annualità che ‘verosimilmente’, ma non certamente potessero, nell’immaginario, far pensare ad altri acquisti”.
Di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca (Studio Legale e Tributario Etruria)
 


[1] Con questa pronuncia la Suprema Corte (richiamando un consolidato orientamento sull’argomento) ha confermato che, nei casi in cui vi sia stata la detrazione dell’IVA (erroneamente) addebitata in fattura dal cedente o prestatore di servizio per un’operazione non assoggettabile all’imposta, l’acquirente, a causa della non imponibilità dell’operazione, non può detrarre l’IVA (addebitata in fattura in via di rivalsa), indipendentemente dal versamento dell’imposta effettuato dal cedente a favore dell’Erario;