Per effetto della recente pronuncia giurisprudenziale (Corte di Cassazione n° 18906/11) - in tema di applicazione del confronto diretto tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria nella fase antecedente all'emanazione di un atto impositivo - pare opportuno svolgere ulteriori considerazioni pratiche, funzionali a tutelare maggiormente il contribuente.
La questione preponderante sarà pertanto quella di delineare gli ambiti applicativi, nonché circoscrivere le condizioni ed i limiti   dell'art. 12, comma 7, Legge 212/2000, secondo cui “l'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza” dei 60 giorni dal “rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo”.
Secondo un'interpretazione restrittiva di tale norma (oltretutto dannosa per il contribuente) l'obbligo di rispettare detto termine trova ragion d'essere esclusivamente nei casi in cui le attività di indagine del Fisco (indipendentemente dalla loro natura) termina con un verbale c.d. di chiusura (ad esempio nella frequente fattispecie del processo verbale di constatazione).
Sistematicamente, la linea difensiva adottata dall'Amministrazione Finanziaria nei propri atti processuali – a tutela della legittimità dell'avviso emanato - verte sul presupposto che l'attività espletata durante l'accesso (ad esempio nei casi di invio di questionari, di invito a produrre documenti, art. 32, D.P.R. n° 600/73 e art. 51, D.P.R. 633/72) non è da considerare una verifica in senso stretto, bensì una mera raccolta di informazioni sulla posizione reddituale del soggetto.
L'orientamento comunitario in materia di “obbligatorietà del contraddittorio”.
In realtà, tale “condotta processuale” dell'Agenzia delle Entrate manifesta un autentico disinteresse (intenzionale o meno) circa i nuovi sviluppi riscontrati nel nostro ordinamento sia a livello normativo, sia giurisprudenziale (nazionale e comunitario) in relazione alla regola dell'obbligatorietà del contraddittorio anticipato (prima dell'emanazione di un atto accertativo).
Ebbene, la fonte del citato orientamento - estremamente garantista - è rappresentata dalla decisione della Corte di Giustizia UE n° 349/07 (c.d. sentenza Sopropé).
La “quintessenza” della pronuncia de qua richiama il seguente principio: il rispetto dei diritti della difesa impone che ogni soggetto - nei confronti del quale si intenda assumere una decisione ad essa lesiva - deve essere posto nella condizione di far conoscere utilmente “il proprio punto di vista”.
Tale conclusione “simboleggia”, in buona sostanza, la volontà di introdurre all'interno dei singoli ordinamenti degli Stati Membri, il principio (a questo punto inderogabile e non negoziabile) del contraddittorio preventivo ed obbligatorio, previsto per qualsiasi forma di procedimento amministrativo, strumentale ad un presumibile accertamento fiscale.
Il diritto di difesa deve essere quindi garantito (in senso sostanziale e non in modalità meramente formali), ossia deve sussistere un contatto diretto, nonché reale tra il soggetto e il Fisco, in quanto la pretesa economica avanzata dall'Erario (anche se sorta soltanto in conseguenza alla compilazione di questionari o alla richiesta di documenti) incide “sugli interessi” patrimoniali e reddituali del contribuente, pertanto a quest'ultimo deve essere assicurata la possibilità (se lo ritiene opportuno) di presentare le “proprie osservazioni”.
Ma non solo: la sentenza procede ben oltre rispetto a quanto già illustrato, ritenendo che la facoltà concessa al soggetto in tali casi deve essere garantita anche se non figura alcuna disposizione – nel caso specifico - “attinente al diritto di audizione”.
A ben vedere, il rispetto del diritto di difesa (rectius: diritto di audizione) costituisce quindi un principio generale dell'ordinamento comunitario, il quale trova applicazione ogni qual volta l'Amministrazione Finanziaria si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo.
Tale principio è allineato, nonché appare come la massima rappresentazione del principio di uguaglianza (art. 3, Cost.), dell'inviolabilità del diritto di difesa del soggetto in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, Cost.), nonché dell'art. 111 Cost., in tema appunto del diritto al contraddittorio.
Il contenuto proprio dell'art. 111 Cost. (meritevole di approfondimento nelle suddette considerazioni) trova la propria cittadinanza non solo all'interno del processo tributario tout court, ma anche nella fase amministrativa che precede - come noto - la fase processuale innanzi alle Commissioni Tributarie.
Dunque il risultato che garantisce il contraddittorio nella fase amministrativa della vertenza fiscale è supportato grazie al combinato disposto tra l'art. 111 e l'art. 3 citati: i contendenti, a parità di situazione, devono trovarsi titolari di uguali poteri in un ambito difensivo.
In considerazione di ciò trova la propria ratio il principio immanente della c.d. parità delle armi, sancito nel nostro impianto costituzionale e successivamente nell'orientamento giurisprudenziale della UE, nel quale, come visto, il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata.
Seguendo tale modus operandi (vincolante per tutti gli Stati Membri nel corso di qualsiasi accertamento fiscale) l'organo accertatore sarà in grado di tener conto di tutti gli elementi utili al caso, consentendo eventualmente la correzione di errori, al fine di far prevalere elementi relativi alla situazione personale del soggetto, in modo che la decisione possa essere “plasmata” alla realtà reddituale del contribuente1.
Conclusioni
In definitiva, l'obbligatorietà del Fisco ad instaurare il contraddittorio con il contribuente si applica ad ogni tipologia di indagine fiscale (di verifica, di controllo, di richiesta chiarimenti, nonché di acquisizione di informazioni), quindi sono inclusi in tale categoria anche la “semplice” compilazione di un questionario: vero è che quest'ultimo rappresenta l'incipit di un rapporto tra contribuente e l'Ufficio, ma non può certamente essere rubricato come un vero e proprio contraddittorio tra le parti.
In altre parole, soltanto assicurando il rispetto di tale principio potrà essere data forza giuridica e concretezza procedimentale al concetto del c.d. giusto procedimento: un'idea condivisibile, ma che necessita – per la sua reale applicazione – dell'introduzione di regole precise.
E' di tutta evidenza, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale comunitario2, che appare irrilevante la denominazione terminologica o tecnica adoperata dal legislatore o dagli organi competenti in relazione all'attività ispettiva: ogni qual volta il Fisco decide di “interloquire” con il contribuente, il primo ha l'obbligo di avviare un confronto vis-à-vis con il secondo, indipendentemente dalla natura della verifica, nonchè dal valore della pretesa erariale.