che, nel caso in esame, manca l’elemento materiale del reato perché la minore non è stata abbandonata e manca, altresì, la coscienza di abbandonare la minore in una situazione di pericolo.chiunque abbandoni un minore di quattordici anni ovvero una persona incapace, per qualsivoglia causa, di provvedere a se stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura, ovvero, ancora, chiunque abbandoni all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato per ragioni di lavoro. Il reato in questione si differenzia da quello disciplinato dall’art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), poiché il bene tutelato non è il rispetto dell’obbligo legale La norma di cui all’art. 591 c.p. rubricata “Abbandono di persone minori o incapaci” punisce di assistenza in quanto tale, bensì il pericolo per l’incolumità fisica, derivante dal suo inadempimento.   Il delitto in commento è un reato proprio in quanto soggetto attivo può essere solo colui che riveste particolari posizioni giuridiche di garanzia, in virtù delle quali è tenuto alla cura e all’assistenza di un minore o di un incapace. Il reato è configurabile solo fino al compimento da parte del minore del quattordicesimo anno di età. L’abbandono, secondo la dottrina e giurisprudenza dominanti, consiste in qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per l’incolumità della persona. Per custodia deve intendersi un dovere, anche temporaneo, esistente al momento dell’abbandono; per cura, invece, è richiesto un preesistente dovere di assistenza, rilevante anche ove, in concreto non abbia ancora trovato attuazione. La condotta può essere anche istantanea e può consistere anche nella condotta omissiva di chi, pur non separandosi dal soggetto passivo, impedisca a soggetti idonei ad evitare il pericolo di intervenire prontamente. Il delitto si consuma con il verificarsi del pericolo di danno ed ha natura permanente, poiché si protrae fino a quando l’imputato non faccia cessare la situazione che non consente un’assistenza o cura adeguata oppure la situazione venga meno per un intervento esterno. L’elemento psicologico è rappresentato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di abbandonare il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere a se stesso, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica e di cui il soggetto attivo abbia esatta percezione, senza che occorra una particolare azione del reo. Si esige non soltanto la volontà di privare dell’assistenza il minore o l’incapace, con la consapevolezza dell’età minore ovvero dello stato di incapacità, ma anche la consapevolezza della situazione di concreto pericolo per la vita o l’incolumità del soggetto abbandonato. Secondo la Suprema Corte per integrare il delitto di cui all’art. 591 c.p. “è necessario che dalla condotta derivi un pericolo anche potenziale per l’incolumità della persona minore o incapace” (Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2007, n. 15147). Discusso è il problema se l’abbandono temporaneo possa integrare o meno, gli estremi del reato ex art. 591 c.p.. Giurisprudenza e dottrina dominanti propendono per la soluzione positiva in tutti i casi in cui dall’abbandono temporaneo sia dipeso un pericolo per la vita o per l’incolumità del soggetto abbandonato. Altra parte della dottrina, invece, sostiene che la fattispecie in esame si realizza soltanto quando l’agente abbia deciso di abbandonare il soggetto passivo in maniera definitiva e non anche momentanea. Di recente è stata esclusa la configurabilità del reato nel caso di abbandono del soggetto passivo in un luogo che consenta il tempestivo ritrovamento ed il soccorso. Ed invero, secondo la giurisprudenza di legittimità “l’abbandono di un neonato può, a seconda delle circostanze, integrare o meno la fattispecie astratta di cui all’art. 591 c.p.; in particolare non sussiste l’abbandono, ai sensi dell’art. 591 c.p. allorquando il neonato sia lasciato in condizioni tali da essere certamente ed immediatamente raccolto dalla pubblica o privata assistenza, con esclusione di qualsivoglia pericolo per la vita e l’incolumità personale” (Cass. pen., Sez. V, 13 settembre 1990, n. 12334). Quanto all’elemento soggettivo del delitto in questione, è da precisare che ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di abbandono di persone incapaci, è richiesta la consapevolezza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alla proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica (cfr. Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2007, n. 15147). L’evento di pericolo per la incolumità di un minore può essere escluso solo se, chi ha l’obbligo di custodia, vigila sui suoi comportamenti attuali o potenziali, ed ha cura dei suoi bisogni, in maniera da prevenire il pericolo secondo la sua capacità in rapporto al tempo ed al luogo. Per cui in tema di abbandono del minore, sul piano soggettivo del reato rileva esclusivamente la volontà dell’abbandono, che per sé implica coincidenza tra risultato voluto dalla propria condotta ed evento. Non è quindi richiesta la verificazione di un danno conseguente, data la chiara natura a tutela e sanzione anticipata del reato de quo. Va da sé, quindi, che nell'ipotesi in cui il pericolo, e cioè la probabilità non irrilevante di un danno, non si verifichi, il delitto deve escludersi per difetto di offesa dell'interesse tutelato. D'altra parte, per ciò che concerne l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa in esame, id est, il dolo - alla verifica della cui sussistenza è sempre astretto il Giudicante, trattandosi di un elemento psichico reale (così: MANTOVANI) - lo stesso è integrato dalla scienza e coscienza del pericolo inerente all'abbandono stesso. Nella medesima direzione esegetica, d'altronde, la univoca Giurisprudenza di legittimità, in relazione all'interpretazione della norma in commento, ne ha cristallizzato l'estensione della punibilità entro confini giuridici ben definiti: «Costituisce abbandono, punibile ex art. 591 cod. pen., qualsiasi azione od omissione che contrasti con l'obbligo della custodia e da cui derivi un pericolo, anche solo potenziale, per la vita o l'incolumità del minore o dell'incapace. Per la configurabilità dell'elemento psicologico, è comunque richiesta la consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere a se stesso, in una situazione di pericolo di cui si abbia l'esatta percezione». Non sarebbe giuridicamente corretto, allora, censurare come "abbandono di minore o di incapace" la condotta di chi lascia che il proprio figlio, sedicenne, si rechi a scuola: proprio perché, a ben vedere, in tal caso, il genitore non ha percezione (tanto meno esatta) di una situazione di pericolo incombente sul minore. Delineata la fattispecie delittuosa di cui all'art. 591 C.P., pare allora assolutamente corretta l'osservazione della Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, allorquando rileva che «[...] avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, l'abbandono richiesto deve essere anche tale da esporre il minore o l'incapace ad una situazione di pericolo, anche potenziale, per la sua incolumità». L'assenza di apparato motivazionale (la motivazione apparente) Ulteriori argomentazioni vanno svolte circa la motivazione della sentenza della Corte di Appello - annullata senza rinvio dai Giudici di legittimità - ché, da una parte, il detto provvedimento elude l'obbligo motivazionale; e, dall'altra, adopera strumenti di inferenza causali ascientifici, siccome basati su mere argomentazioni congetturali, non idonei, nel nostro ordinamento giuridico, a fondare un giudizio di responsabilità penale. Le "motivazioni apparenti" con le quali vengono, a volte, inghirlandati alcuni provvedimenti giuridici sono sanzionate con la nullità assoluta dal nostro codice di rito. Sicché, è giustamente severa, sul punto, la sentenza della Suprema Corte, nel momento in cui, nel censurare la decisione della Corte territoriale, osserva: «Sussiste il denunciato difetto motivazionale, posto che, a fronte di specifiche doglianze difensive che [...] avevano segnalato l'assoluta mancanza di prova in ordine ai presupposti oggettivi e soggettivi del reato contestato, la Corte di merito si era limitata ad una risposta non solo generica ed insufficiente, ma anche inconferente». La difesa dell'imputata, in vero, aveva osservato che la condotta di chi acconsente a che il proprio figlio sedicenne si rechi a scuola (motu proprio), non integra il delitto di "abbandono di minori". In relazione a questo punto, tuttavia, la Corte di Appello si era limitata a una risposta generica e insufficiente. A tali censure difensive, difatti, il Giudice di secondo grado non dava la benché minima risposta, limitandosi ad apodittiche e generiche affermazioni, le quali si risolvono, per costante esegesi, in una motivazione meramente apparente e quindi in un'assoluta mancanza di motivazione. Così facendo, allora, la Corte territoriale non ha osservato il dettato di una norma processuale prevista a pena di nullità: dispone, infatti, l'art. 125/3 C.P.P. che "le sentenze e le ordinanze sono motivate a pena di nullità". Riguardo al significato da attribuire alla mera "apparenza" della motivazione, poiché trattasi di un evidente termine polisenso, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte, ribadendo che «la motivazione deve considerarsi "meramente apparente" quando sia del tutto priva di requisiti minimi di coerenza e completezza». È, d'altra parte, in assoluta coerenza con i formanti giuridici del nostro diritto processuale penale (legislazione, dottrina, giurisprudenza) evidenziare l'assoluta indispensabilità di un congruo apparato motivazionale che sostenga il decisum del Giudicante. Le specifiche (e pertinenti) doglianze della difesa, ove disattese, necessitano, infatti, di un'adeguata e precipua risposta; ciò si pretende per rendere possibile il successivo controllo sulla discrezionalità del Giudice: per garantire, quindi, in tal modo, l'effettività del diritto di difesa, in una visione costituzionalmente orientata dello stesso. Diversamente procedendo, la motivazione della sentenza risulterebbe viziata, potendosi concludere, sul punto, in linea con quanto afferma costante Giurisprudenza di legittimità, che «la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione, e si pone dunque fuori dal legittimo ambito del ricorso alla motivazione "per relationem", se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, e senza argomentare sull'inconsistenza o sulla non pertinenza di detti motivi». L'inferenza causale Oltre al rilevato difetto motivazionale, peraltro, la Corte di legittimità individua un altro, preciso, motivo di annullamento della sentenza della Corte di Appello di Roma: «Ed infatti, [la Corte di merito: N.d.A.] aveva ritenuto di potere ravvisare nella stessa commissione del furto aggravato in abitazione, commesso dal figlio dell'imputata, la prova dell'abbandono, sul rilievo che se la madre avesse opportunamente vigilato sul figlio, quest'ultimo non avrebbe posto in essere l'azione delittuosa in questione. Soggiungendo che le stesse modalità del furto avevano rivelato una conseguita attitudine alla commissione di reati, ben giustificabile con un'abituale omissione di controllo da parte della madre [...] Tutto qui. Sin troppo evidente è l'elusione dell'obbligo motivazionale, apprezzabile non solo sotto il profilo dell'inadeguatezza della risposta, ma anche sul piano della pertinenza degli argomenti giustificativi addotti, secondo le regole della logica ordinaria e del buon senso». Va quindi anche censurato che la Corte del merito, nel suo poco pregiato arresto, ha disatteso le comuni regole della logica e dell'inferenza causale. In vero, dalla commissione del furto in abitazione del figlio minore, la Corte distrettuale ne ha inferito, in modo ascientifico, la sussistenza di una situazione di abbandono dello stesso da parte della madre: ha così ravvisato l'integrazione della fattispecie incriminatrice astratta prevista dall'art. 591 C.P. Pare quindi evidente l'applicazione, da parte della Corte di appello, di una generica inferenza causale da classificare come certamente priva di copertura scientifica: l'abduzione. Di fronte a un fatto storico (furto in appartamento di un soggetto minore) la Corte ha formulato un'ipotesi causale (situazione di abbandono) che ha tanta (anzi, minore) credibilità di quanta ne possano avere altre, e diverse, ipotesi causali. Ritenere sussistente l'abbandono di un minore nel sol fatto che questi, in vece di recarsi a scuola, commetta un delitto di furto, è palesemente erroneo; la formulata ipotesi causale dell'abbandono del minore ha, infatti, minore forza eziologica di quanta ne possa avere, ad exemplum, l'emarginazione sociale cui, dal punto di vista sociologico, sono astretti i membri di una etnia nomade scarsamente integrata. In altri termini: le conclusioni cui perviene la generica abduzione (ove non fluisca nelle specifiche forme dell'induzione e della deduzione) non hanno nessun valore scientifico, in quanto aspecifiche e non sorrette neppure da canoni di probabilità: sono soltanto possibili ipotesi, diversamente da come potrebbe argomentarsi, invece, a proposito della deduzione e dell'induzione per enumerazione; di talché, fondare un giudizio di responsabilità penale su un solo, mero, indizio - e su una sola, mera, ipotesi - è palesemente erroneo, siccome forzato in diritto e senza basi logiche. Così facendo, allora, la Corte di Appello ha piegato il significato del dato fattuale verso un'ipotesi congetturale ingiustificatamente divergente da quella collegabile, secondo una logica lineare, a più accreditabili causali (e da rinvenirsi, come detto, in altre spiegazioni eziologiche, ovvero sociologiche). Per di più, sanno perfettamente i Giudici che la prova dell'esistenza di un fatto attraverso indizi è soggetta, nel nostro ordinamento giuridico, alla regola di esclusione cristallizzata nell'art. 192/2 C.P.P., in forza della quale «l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi»; soggiacendo, tale regola di esclusione, alla sola eccezione ravvisabile nel caso in cui tali indizi «siano gravi, precisi e concordanti».  )    ATTO DI APPELLO ex artt. 571 e 593 c.p.p. Ecc.ma CORTE DI APPELLO DI ROMA   Il sottoscritto avv..................................del foro di .........................., con studio in....................difensore di fiducia, come da nomina allegata in calce al presente atto, di.......................nata a ................il........................, imputata nel procedimento penale n. R.G.N.R………… per il reato di cui all'art. 591 c.p. commesso in ..........................il.................   propone APPELLO ai sensi degli artt. 571 e ss e 593 ss c.p.p.   avverso la sentenza di condanna n................emessa in data.................dal Tribunale in composizione monocratica di Roma e depositata in data..............................., alla pena di .....................per il reato ex art. 591 c. p.   per il seguente motivo:   Carenza dell'elemento oggettivo nella condotta dell'insegnate. In base alle evidenze processuali, le conseguenze subite dall'infortunio di Silvietta non sono tali da creare una condizione di pericolo per l'incolumità fisica della piccola. La diagnosi del medico che ha visitato la bambina al pronto soccorso, infatti,  consiste in "trauma alla legione vulvare" e la visita del ginecologo ha diagnosticato una "ferita escoriativa interna". Ebbene, da tali risultanze specialistiche, emerge chiaramente che la lesione occorsa alla bambina è di tipo superficiale: ciò significa che, al contrario di quanto dichiarato dall'accusa, tale lesione non è compatibile con una perdita copiosa di sangue bensì con macchioline di sangue riscontrate sulle mutandine. Anche se la bambina ha vissuto tale disavventura con ansia, paura e forse vergogna non vi è stato pericolo per l'incolumità della minore. Restano dunque irrilevanti, ai sensi dell'art. 591 c.p., le “componenti psicologiche” della salute, intesa come “benessere psico-fisico”: concetto diverso e più ampio rispetto a quello di “integrità fisica”. La difesa evidenzia che il delitto di cui all'art. 591 c.p., per la sua configurabilità, richiede l'elemento oggettivo della messa in pericolo. L'effettivo pericolo è elemento costitutivo del fatto di reato di cui all'art. 591 c.p., che si configura dunque come reato di pericolo concreto. Ad avvalorare la tesi difensiva vi è un recente arresto degli Ermellini di P. zza Cavour, secondo il quale "il pericolo dell'integrità fisica della persona può anche essere virtuale ma certamente non può identificarsi nel mero senso di turbamento e di disagio avvertito dal minore per un evento, che per quanto fonte di dolore fisico e di inquietudine, non sia suscettibile di aggravarsi oltre i limiti circoscritti degli effetti di un'escoriazione" (Cass. Pen., sez. V, 21.06.2011, n. 24849). L'eventuale insensibilità della maestra non vale comunque, ove mai fosse accertata, ad integrare l'elemento oggettivo del reato ex art. 591 c.p. in carenza di una condizione di effettivo pericolo per l'integrità fisica della minore.   Tanto premesso Il sottoscritto Avv........................... Chiede che l'ecc. ma Corte di Appello di Roma, in riforma dell'impugnata sentenza di condanna del giudice di prime cure, voglia  assolvere l'imputata dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste.   ...........lì.................... Avv..........................   Nomina del difensore di fiducia La sottoscritta Anna_____________________________nato a _________________________ e residente in_____________, nell'ambito del proc. pen. n___________R.G.N.R. per cui è stata condannata in primo grado per il reato previsto e punito dall'art. 591 c.p. ai sensi dell'art 96 c.p.p. nomina quale proprio difensore di fiducia l’Avv. ________ del Foro di _________, conferendogli ogni più ampia facoltà di legge, inclusa quella di proporre impugnazioni in ogni stato e grado del procedimento, compresa la fase dell’esecuzione e della revisione. Elegge domicilio presso il suo Studio Professionale, sito in _______, alla Via ________. Esprime  il proprio consenso al trattamento dei dati personali ai sensi del d.lgs.30-6-2003, n.196.   …..............lì........................ Anna   E’ vera ed autentica   Avv. __________