L’art.403 c.c si inserisce nel solco delle disposizioni in materia di affidamento della prole e stabilisce che “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato  o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione..
Come si colloca e quale è la natura di tale provvedimento?
Non è un atto di giurisdizione, nemmeno volontaria ma è un atto amministrativo che non richiede per la sua finalità di protezione motivi articolati ma sicuramente l’indicazione della presenza di una situazione attuale di sofferenza e pregiudizio del minore. Quando l’intervento si contrappone alla volontà dei genitori, questi debbono essere informati tempestivamente che il minore è sotto la protezione della pubblica autorità e che l’intervento è stato segnalato all’autorità giudiziaria minorile. Non è necessario, invece, che venga indicato il luogo in cui il minore si trova se ciò serve a proteggerlo. Peraltro, la collocazione in ambito protetto può essere mantenuto solo per tempi ristrettissimi e circoscritti sino all’intervento dell’autorità giudiziaria minorile notiziata. Se quest’ultima ritiene che in effetti l’intervento non ha i presupposti necessari, il 403 cessa di avere effetto e così lo stato di necessità.
L’autorità che adotta, tuttavia, il provvedimento in violazione dei presupposti che vedremo è responsabile per gli eventuali danni al minore o alla sua famiglia che ne derivano. Ad esempio, già  il Tribunale di Monza con sentenza del 27 giugno 2007 aveva condannato un Comune per l’operato dei Servizi che avevano disposto l’allontanamento d’urgenza dal nucleo familiare di una minore per sospetti abusi sessuali intrafamiliari, aderendo tout court alle indicazioni fornite dalla maestra di scuola in virtù di alcuni disegni compiuti dalla minore stessa.
Concludendo sulla natura del provvedimento, si dice che l’art.403 rappresenti una sorta di deroga al sistema della tutela dei minori poiché è impostato sull’intervento sociale che prevale sulla volontà e sulla potestà genitoriale.
La collocazione del provvedimento ex art.403 c.c. rimane circoscritta ai casi “urgenti” ritenendosi strumento eccezionale volto a tutelare i minori nell’immediatezza, laddove non si può attendere il Tribunale in quanto la situazione si presenta molto grave: in questo senso si distingue dai casi di allontanamento dalla residenza familiare e altri casi di intervento socio assistenziale.
L'allontanamento di bambini/e o ragazzi/e dal proprio nucleo familiare costituisce, come si è detto, un intervento di extrema ratio e una decisione residuale nel panorama degli interventi disposti dalla Magistratura e attuati dai servizi sociali nel settore inerente alla tutela dei minori e della famiglia.
Tuttavia, proprio per le peculiarità che presenta, deve essere oggetto di attenzione specifica da parte di tutti gli organismi coinvolti. Nella consapevolezza che un ambito così delicato riguarda innanzitutto la responsabilità della professione, il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Assistenti sociali ha adottato delle Linee Guida.
L'obiettivo prioritario degli Enti Locali e dei sevizi territoriali, infatti, deve essere quello di prevenire gli allontanamenti di minori dalle proprie famiglie. Laddove non sia possibile evitare l'allontanamento, l'obiettivo degli interventi è rappresentato dal recupero della capacità genitoriale della famiglia di origine e dalla rimozione delle cause che impediscono l'esercizio della sua funzione educativa e di cura. Il fine è garantire il rientro del minore in famiglia, in tempi il più possibile brevi, nel rispetto del principio di continuità dei rapporti familiari/parentali, anche in ossequio alla normativa internazionale e quella nazionale di recepimento (il diritto  a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1, L. 149/01), il diritto alla bigenitorialità (art. 1, L. 54/06), il diritto a non essere allontanato dai genitori contro la loro volontà, salvo una decisione giudiziaria presa in conformità con le leggi di procedura applicabili (art. 9, Convenzione di New York).
E' necessario potenziare il sostegno alle famiglie non solo in funzione preventiva rispetto agli interventi più traumatici, ma anche, successivamente, per consentire una comprensione delle ragioni del provvedimento e una possibile crescita e recupero delle risorse interne al nucleo familiare.
In caso di allontanamento, va sempre perseguito un intervento che tenga in considerazione il rispetto delle persone, l'informazione dei soggetti coinvolti, la ricerca delle modalità più opportune per l'esecuzione del provvedimento e la necessaria tempestività, in relazione sia alla sua efficacia sia all'esigenza di ridurre quanto più possibile il trauma che il minore ed i suoi familiari ne possano riportare.
Il lavoro di prevenzione e di sostegno alle situazioni di fragilità delle famiglie e delle coppie richiede l'attivazione di servizi competenti all'ascolto dei bisogni e alla prevenzione dei conflitti, di tutoraggio sociale, di educativa familiare e di mediazione familiare. In particolare, occorre prevedere specifiche forme di accompagnamento per le famiglie e i minori di diversa cultura.
Nell'organizzazione dei Servizi Sociali è necessario prevedere la presenza di profili professionali che si occupino con competenze specifiche di famiglie e minori, con un impegno complessivo di lavoro che renda possibile l'affiancamento delle famiglie in difficoltà, in una logica di prevenzione e di rimozione degli ostacoli, favorendo e programmando attività e progetti mirati all'integrazione sociosanitaria.
Gli Enti Locali e le Regioni debbono assicurare risorse finanziarie e di personale al fine di garantire la presenza, nei servizi alla persona, di un adeguato numero di professionisti a cui assicurare formazione continua, specializzazione e supervisione professionale. E' particolarmente importante che, al fine di una efficace e continuativa attività di supporto ai bambini ed alle famiglie, i professionisti siano stabilmente impiegati nel settore.
Il minore di cui i genitori non possono occuparsi ha diritto ad avere accanto a sé una figura sostitutiva, quale il tutore, che lo rappresenti e che soprattutto se ne prenda cura.
Tutori e curatori speciali possono trasformarsi da presenze solo formali a figure che curano e accompagnano il minore.
E' importante prevedere iniziative rivolte ai mezzi di informazione per far conoscere i principi, gli obiettivi, gli strumenti e le attività posti in essere dalle istituzioni a favore delle famiglie e dei minori. Un’informazione scorretta ed i processi di denigrazione che ne derivano verso i servizi sociali, sanitari e la magistratura, infatti, finiscono per ledere i diritti e le opportunità proprio delle persone e delle famiglie in difficoltà. Il senso di diffidenza che ne deriva rischia di ostacolare percorsi di orientamento e di sostegno .
Il ricorso all'art. 403 del Codice Civile deve avvenire solo quando sia esclusa la possibilità di altre soluzioni e sia accertata la condizione di assoluta urgenza e di grave rischio per il minore, che richieda un intervento immediato di protezione.
I casi più frequenti sono:
  • Situazioni contingenti di urgenza e grave rischio per l’integrità psicofisica del minore;
  • Abbandono, stato di pericolo;
  • non sia già stata azionata una procedura di adottabilità;
  • Riscontro di minori in gravi condizioni igieniche e di sicurezza, inottemperanza dell’obbligo scolastico, violenza assistita, maltrattamenti fisici/psicologici, etilismo, tossicodipendenza dei genitori.
Le tipologie sopra citate possono essere funzionali a diverse esigenze di protezione:
 cautelativa, quando l’intervento è finalizzato ad evitare l’aggravarsi di un pregiudizio per il minore;
d’urgenza, quando l’intervento ha l’obiettivo di interrompere una situazione di dannosità e pericolo;
terapeutica, quando l’intervento interviene nel percorso di valutazione e cura dei figli e dei genitori, sollevando entrambi da una relazione compromessa, dannosa o rischiosa.
riparativa /compensativa, quando l’azione mira a garantire l’accoglienza e la cura del minore da parte di una risorsa familiare sostitutiva della famiglia d’origine per un periodo medio - lungo, a fronte di una prognosi di recuperabilità parzialmente negativa ma dove non sia opportuno recidere il legame affettivo e di filiazione.
L’allontanamento, quale intervento di protezione, può essere necessario in diverse fasi del processo d’aiuto attuato dal Servizio sociale a favore del minore e della sua famiglia d’origine:
- nella fase di rilevazione, per rispondere al bisogno di tutelare il bambino in condizione di pregiudizio, ove le risorse familiari, seppur anche presenti, non siano sufficienti, e il tempo necessario per implementarle con altro è inadeguato alle esigenze di protezione del minore. Sono di questo tipo gli allontanamenti d’urgenza e cautelativi;
- nella fase di valutazione del bambino e dei genitori, ove può maturare la necessità di un collocamento fuori dalla famiglia del minore per favorire il percorso diagnostico. Questo o perché il bambino riceve pressioni e influenze che possono ostacolare il processo di valutazione e cura, e aumentare il suo malessere; oppure perché i genitori, all’interno del percorso di recuperabilità, esprimono e riconoscono loro fragilità e limiti che rendono necessaria una separazione dal figlio, definita all’interno del percorso come opportunità. Sono di questo tipo gli allontanamenti terapeutici.
L’allontanamento può assumere un valore costruttivo solo se pensato come una tappa di un più ampio disegno progettuale, volto alla ricostruzione del nucleo familiare d’appartenenza, se in grado di ridefinire le disfunzionali dinamiche familiari del passato.
La titolarità del progetto spetta al Servizio sociale dell’Ente locale, il quale tenute conto le prescrizioni del Tribunale per i Minorenni, previo confronto sinergico con gli altri eventuali servizi coinvolti sul caso, dovrebbe definire da subito almeno alcuni elementi cardine. In particolare: il contesto d’accoglienza del minore, la durata di ipotetica del collocamento (correlata all’entità e alla qualità degli interventi di valutazione prescritti), la regolamentazione dei rapporti con la famiglia d’origine per il mantenimento del legame.
Il progetto suddetto deve comprendere delle fasi che attengono a:
a) definire i tempi del distacco: valutare il momento in cui attuare il distacco del minore dalla famiglia, una volta ricevuto il Decreto da parte del Tribunale per i Minorenni, è una responsabilità in capo agli operatori che lo seguono ed è una decisione delicata. Esiste infatti un duplice rischio: che l’operatore ravvisi un’urgenza indotta dalla propria emotività e dalla propria ansia, oppure che l’operatore resti intrappolato nelle dinamiche familiari e tenda, ingiustificatamente, a rinviare l’intervento di protezione del minore, per un’eccessiva alleanza con le figure genitoriali. La valutazione congiunta dei diversi operatori coinvolti sul caso (Servizi sociali e specialistici che seguono il minore e i genitori, se necessario la scuola, altri servizi di sostegno) ed il contributo interdisciplinare delle conoscenze, può essere un valido rimedio per evitare tali errori.;
b) individuare il contesto d’accoglienza: Altro aspetto fondamentale è definire la sistemazione del minore. Ove il Tribunale non disponga per una forma di accoglienza specifica, spetta al Servizio individuare il più idoneo collocamento per il minore.
La scelta può deporre per tre tipi di risorse: una famiglia dello stesso nucleo, una famiglia esterna, una casa famiglia o una comunità.
Nell’operare la scelta dovremmo innanzitutto tenere in considerazione l’indicazione normativa presente nella L. 149/2001, di modifica della L.184/83 ove, all’art.2, vengono date indicazioni specifiche:
b1) Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’art.1, è affidato a una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”.
L'articolo 4 della legge 184/1983 specifica che «L'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile». L'affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore.
b2) “Ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1 è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori in età inferiore a sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare”.
L’operatore per decidere deve innanzitutto ricordare che la condizione di vita del minore allontanato deve risultare comunque migliore rispetto a quella che lo stesso sperimentava nella sua famiglia d’origine. Partendo dall’assunto che non esiste una regola per prendere la decisione, e’ fondamentale valutare la qualità del contesto e la capacità degli interlocutori di rispondere alle deprivazioni specifiche del minore, ma anche che il tipo di collocamento individuato non ostacoli il possibile recupero della famiglia d’origine e/o il mantenimento del legame.
Quale è la scelta migliore?
La famiglia affidataria esterna offre al minore un’accoglienza ove i rapporti sono stretti e spontanei, ove lo stesso potrebbe trovare un modello familiare di riferimento “positivo” per la sua formazione e figure adulte disponibili, accudenti e premurose che gli potrebbero permettere di esprimere potenzialità e limiti propri dell’età, sinora inespressi o inesprimibili. Le strutture/famiglie che accolgono devono conoscere la situazione del minore e la motivazione del provvedimento, condividere le modalità di rapporto con i familiari, rispettare le prescrizioni, collaborare al progetto socio-educativo per il minore impostato dai servizi sociali e secondo le disposizioni dell'autorità giudiziaria, offrire l'ascolto attento e curare l'accompagnamento del rientro in famiglia originaria o in affidamento familiare. Tuttavia l’affidamento familiare proietta immediatamente il minore in un mondo di regole (relazionali ed affettive) e in una cultura familiare diversa dalla propria, spesso senza che questo abbia tempo di adattarsi. Gli affidatari potrebbero far fatica a confrontarsi con la storia personale di quel minore e della sua famiglia d’origine, famiglia a cui il bambino non ha rinunciato e continua a sentire come propria. La famiglia affidataria (genitori, figli, altri parenti) potrebbe non sopportare questo continuo confronto, che spesso si somma alle naturali difficoltà di adattamento che il bambino manifesta, uniti in certi casi a quei meccanismi di difesa legati ai gravi traumi subiti (erotizzazione, strumentalizzazione, opposizione), difficilmente gestibili senza una preparazione specifica.
La comunità è un contesto strutturato, ove sono presenti regole e limiti formali, altri coetanei (e non) con precedenti differenti, ma spesso altrettanto traumatici, operatori soggetti a turnazione con cui i rapporti sono in un primo periodo impersonali, e nel caso di comunità familiari “mamme e papà, ma di altri”. Tuttavia il bambino potrebbe gradualmente scegliere di persona anche uno o più interlocutori privilegiati e formati per poterlo ascoltare, accompagnare e contenere in modo adeguato, e potrebbe inoltre esprimere il proprio disagio emotivo e la propria sofferenza, anche tramite modalità relazionali ‘inadeguate’ senza paura di essere espulso.
E’ da tenere in considerazione che in alcune situazioni di particolare traumatizzazione generata, ad esempio, da situazioni di maltrattamento o abuso sessuale, il collocamento in una comunità, potrebbe rappresentare un’opportuna transizione prima di riproporre ai bambini un’esperienza familiare che per tipologia di legami potrebbe essere vissuta da loro come spaventosa e rievocativa di situazioni traumatiche.
Per quanto riguarda l’affido intra – parentale, da un punto di vista legislativo e teorico questa tipologia di collocazione risponde all’esigenza del bambino di restare nel proprio contesto familiare, e spesso anche ambientale (mantenendo in tal modo la frequenza della scuola, dell’oratorio, dell’attività sportiva), salvaguardando il legame e favorendo l’accesso anche frequente alle figure genitoriali.
Tuttavia questa soluzione potrebbe sia non togliere il bambino da dinamiche familiari disfunzionali (e tal volta patologiche) che interessano o hanno interessato i componenti della famiglia allargata che si offrono per l’affido, sia non preservarlo dalla caoticità nell’assunzione di ruoli e funzioni rispetto al bambino.
E’ quindi necessario valutare con attenzione quale è l’atteggiamento dei parenti candidati all’affido nei confronti dei genitori del bambino, e quali dinamiche si attivano nel dare/prendere in affido il bambino;
c) definire la durata dell’accoglienza e le azioni di supporto al minore e ai genitori di recupero alle funzioni genitoriali: Aspetto spesso sottovalutato è quello della previsione della durata del collocamento del minore. Senza definire un termine di massima dello stesso, ove sia realisticamente attuabile il lavoro valutativo e di sostegno al recupero delle funzioni educative e accuditive della famiglia d’origine, si corre il rischio di protrarre il collocamento senza alcuna ragione;
d) definire la regolamentazione degli incontri minore – genitori (altri famigliari significativi): e’ opportuno ricordare che la decisione di “interrompere” gli incontri tra genitori e figli spetta esclusivamente al Giudice e ove l’operatore del Servizio sociale non ottemperi alle prescrizioni dell’Autorità giudiziaria, quindi anche quelle attinenti al “diritto di visita”, potrebbe essere penalmente perseguito a titolo personale. Ciò non contrasta con il dovere dell’operatore di relazionare al Tribunale sull’andamento degli incontri in presenza di elementi di forte disagio psico-evolutivo per il minore  tali da rendere inopportuno il prosieguo dei rapporti diretti con il genitore, a prescindere dall’aver completato o no il complessivo lavoro di valutazione. gli operatori dovranno valutare le modalità di relazione più idonee. A seconda della situazione emotiva del bambino, nonché all’analisi della capacità critica assunta dai genitori rispetto alle ragioni dell’allontanamento e al bisogno di preservare o no l’ambiente quotidiano d’accoglienza del minore, bisognerà valutare se effettuare gli incontri presso la comunità d’accoglienza (se strutturata per poterlo fare) o presso un servizio di spazio neutro e con quale periodicità si svolgeranno gli incontri. Gli incontri protetti risultano fondamentali per il raggiungimento di diversi obiettivi: osservare direttamente le dinamiche relazionali genitori – figli a fini della valutazione; facilitare la relazione tra genitori e figli interrotta o compromessa da precedenti eventi traumatici; sostenere il genitore nell’assumere modalità relazionali maggiormente rispondenti al bisogno dal figlio; proteggere il legame tra il bambino e il genitore, accompagnando il minore nell’affrontare l’incontro con l’adulto che può avere avuto condotte inadeguate nei suoi confronti (squalificanti, denigranti, adultizzanti) o violente; aiutare il bambino a prendere gradualmente consapevolezza delle reali competenze dei suoi genitori, ma anche dei loro limiti. Il Servizio sociale dovrà inoltre prendere in considerazione l’opportunità di preservare ulteriori legami anche solo parzialmente protettivi per il bambino, come quelli con i fratelli o altri parenti, per evitare che lo stesso possa vivere l’allontanamento come una deportazione, compromettendo la possibilità di fidarsi, affidarsi e costruire nuovi legami.
e) preparare il minore e i genitori all’allontanamento, condividere il progetto: nella preparazione dei genitori all’intervento di allontanamento, bisogna tenere conto in primo luogo dell’atteggiamento assunto dagli stessi rispetto alla collocazione del figlio fuori dalla famiglia. Possiamo incontrare:
- genitori che permettono: di solito sono genitori esasperati che, più che consapevoli dei problemi, ritengono la collocazione fuori dalla famiglia un alleggerimento delle pressioni dei servizi (o della scuola) ed un sollievo per se stessi liberati dalla gestione dei loro figli;
- genitori che chiedono aiuto: sono quelli che si riconoscono per lo più problemi di ordine socio-assistenziale e chiedono il collocamento dei figli presso una struttura d’accoglienza;
- genitori che concordano: sono le situazioni in cui la decisione dell’affidamento si determina all’interno di un percorso di valutazione e cura, in cui i genitori riconoscono almeno in parte le loro difficoltà e carenze, si sentono compresi e quindi possono accettare aiuto;
- genitori che si oppongono: sono la maggioranza delle famiglie che percepisce l’allontanamento del bambino come una squalifica e una punizione.
Di regola bisognerebbe sempre provare a creare un’alleanza di lavoro con i genitori, motivando le ragioni dell’intervento dell’Autorità giudiziaria e della misura di allontanamento, tentando di configurarla come opportunità per la famiglia e per il minore, e prefigurando i possibili scenari futuri di maggior benessere per tutti a fronte di una fattiva collaborazione.
f) definire le modalità dell’allontanamento: Il bambino/adolescente potrà essere accompagnato presso la risorsa d’accoglienza da una o più figure professionali di riferimento (educatore, psicologo), ad ogni modo sempre dall’assistente sociale, e se possibile e pertinente, dal genitore/genitori.
Nel caso in cui fosse stato impossibile il coinvolgimento dei genitori nella fase preliminare, si dovrà procedere al prelievo senza preavviso del minore. In tal caso sarebbe meglio prediligere il contesto scolastico, ove, tramite la collaborazione del Dirigente, di solito è possibile coordinare l’intervento con l’ausilio delle insegnanti di classe al fine di contenere il più possibile il disagio del minore, tutelandone la privacy. Per l’accompagnamento, se ritenuto necessario l’ausilio delle Forze dell’Ordine dovrebbero presentarsi in borghese e con auto “civette” per non spaventare il bambino.
Il minore dovrebbe essere inoltre accompagnato nel contesto d’accoglienza prescelto da un interlocutore di suo riferimento (insegnante, catechista, educatore, parente della famiglia allargata affidabile) ed essergli offerta un’accoglienza comunque ragionata (ad esempio con oggetti e indumenti idonei alla sua età, con la presenza di un coetaneo con cui poter entrare in relazione se condotto in una comunità).
g) Gli operatori che materialmente eseguono il provvedimento di allontanamento devono essere specializzati. E' necessario prevedere una equipe stabile multi-professionale per accompagnare l'evento di allontanamento, possibilmente composta da professionisti diversi da quelli che hanno in carico il minore e la famiglia. Il rapporto professionale con gli operatori che seguono la famiglia deve essere, infatti, salvaguardato per non interrompere il rapporto fiduciario.
h) Particolare attenzione va dedicata all'ascolto del minore e ai luoghi e ai modi in cui esso avviene, incentivando la creazione di spazi neutri per gli incontri protetti. E' importante spiegare, tenendo conto dell'età e della capacità di comprensione, la situazione, le ragioni del provvedimento e il suo significato. È importante ascoltare i vissuti, i sentimenti, i problemi, e le aspettative del minore, accoglierlo in un luogo idoneo e considerare per quanto sia possibile i suoi desideri. E’ importante, quindi, comunicare e insegnare al bambino/adolescente cosa può accadere, come, quando, con chi avrà a che fare, facilitando la comprensione anche dei termini legali. Lo scopo è quello di fornire informazioni e spiegazioni preliminari sulle diverse fasi del procedimento penale attraverso visite al Tribunale e nel luogo dove avverrà l’ascolto della vittima.
 
E veniamo al dato normativo. Cosa si intende per abbandono morale e materiale?  La legge 149/01, nel riconoscere il diritto del minore a crescere e ad essere allevato nell’ambito della propria famiglia, ha direttamente collegato l’applicazione degli istituti dell’affidamento familiare e dell’adozione all’incapacità genitoriale.
L’articolo 1 – “principi generali” – stabilisce che le carenze materiali e personali dei genitori non possono essere di ostacolo al diritto del minore a vivere nella propria famiglia.
Si è affermato, ad esempio, in giurisprudenza, che "la presenza di significativi rapporti con il minore – accompagnati dalle relazioni psicologiche e affettive che normalmente caratterizzano un così stretto legame di parentela - da parte di una parente (nella specie la nonna), quale figura sostitutiva della madre, costituiscono il presupposto giuridico per escludere lo stato di abbandono, e, quindi, la dichiarazione di adottabilità" (così Cass. civile sez. I, sent. 10126 del 2005). Sempre sullo stato di abbandono e sull’esclusione dello stato di adottabilità si è espressa Cass. civile sez. I  10 agosto 2007 n. 17648 la quale ritiene che  l'art. 403 c.c. non può ritenersi abrogato implicitamente dagli art. 2 e 4 della legge n. 184 del 1983, poiché esso attiene ad interventi urgenti da assumere nella fase anteriore all'affidamento familiare, ma va coordinato con l'art. 9 della medesima legge, il quale fa obbligo alla pubblica autorità, che venga a conoscenza della situazione di abbandono, di segnalarla al tribunale per i minorenni. Il provvedimento è, quindi, simile a quello previsto dall'art. 2, della legge n. 184 del 1983, pur differenziandosene per il fine prevalentemente protettivo, essendo destinato a sottrarre il minore dai pericoli immediati cui è esposto. La legge sulle adozioni, n. 184 del 1983, delinea una serie di istituti che trovano applicazione quando «la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore» (art. 1).
Nel capo relativo alla dichiarazione di adottabilità, l'articolo 8 della legge 184/1983 prescrive che siano dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio. La situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare».
L'accertamento dello stato di abbandono del minore dovrà peraltro basarsi su di una reale ed obiettiva situazione esistente in atto.
Il minore deve trovarsi in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica, cioè una situazione di evidente pregiudizio per il bambino o per il ragazzo con la differenza che l’intervento ex art. 403 c.c. deve caratterizzarsi per l’urgenza poiché il minore è in tale stato di pregiudizio che l’intervento di protezione non può essere rimandato.
La norma parla di intervento della “pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia”, per cui, secondo una conveniente interpretazione letterale, sembra si configuri la legittimazione all'intervento di prima urgenza indicato limitatamente agli assistenti sociali o appartenenti ad organi/enti deputati alla protezione dei minori (interpretazione classica), anche se l’interpretazione attuale di autorità competente estende anche all’autorità amministrativa in senso lato il potere di intervento: ovvero sindaco, questore,  Prefetto e ASL. In tal senso è orientata anche la giurisprudenza.
 L’assistenza della forza pubblica, invece, potrebbe divenire necessaria nel caso in cui si manifestino delle resistenze materiali.
Il 403 può essere anche disposto dall’Ospedale, nel caso in cui il personale ospedaliero si trovi di fronte a un sospetto di maltrattamento e abuso e non riesca a contattare il Servizio sociale territoriale.
Naturalmente, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che omettono di riferire alla Procura per i minorenni sulla condizione di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengono a conoscenza in ragione del proprio ufficio sono puniti ai sensi dell’art. 328 c.p.
Gli esercenti un servizio di pubblica necessità sono puniti con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa da € 258 a € 1219.
L’intervento deve essere seguito dalla segnalazione per cui  s’intende una comunicazione dei servizi responsabili della protezione e cura di un minore di età, finalizzata ad informare l’Autorità giudiziaria di una situazione di rischio di pregiudizio o di pregiudizio in cui egli si trova e che incide gravemente sui suoi diritti, anche relazionali, tra i quali il diritto alla vita e alla integrità. La segnalazione di grave pregiudizio per i minori da parte dei servizi sociali e sociosanitari alla Procura Minorile (o al Tribunale per i Minorenni nel caso in cui vi sia un procedimento già pendente), deve avvenire, per quanto possibile, in maniera circostanziata e deve essere immediatamente seguita da una indagine accurata della situazione. Occorre che nella relazione siano esposti in maniera distinta gli elementi descrittivi da quelli valutativi e siano indicati gli interventi che sono stati posti in essere, ove possibile, per evitare l'allontanamento.
 Se emergono fatti penalmente rilevanti, la relativa denuncia deve essere trasmessa alla competente Procura ordinaria o a quella per i minorenni - a seconda dell’età dell’indagato - per la repressione del reato.
Gli stessi fatti devono essere segnalati alla Procura per i minorenni se la vittima è un minorenne, quando le circostanze e la natura del reato richiedono anche un provvedimento giudiziario di carattere civile, incidente sulle responsabilità genitoriali. Infatti, non di rado o è lo stesso genitore a essere indagato per il maltrattamento o l’abuso denunciato o se ha dimostrato di essere comunque incapace di proteggere il figlio dai pericoli presenti nell’ambiente in cui vive.
Con particolare riferimento ai casi di abuso sessuale e di maltrattamento, occorre evitare incertezze o confusioni tra la denuncia della notizia di reato e la segnalazione all’Autorità giudiziaria minorile della situazione di pregiudizio in cui si trovi eventualmente un minore.
La “denuncia” ha per oggetto un fatto costituente reato, in qualunque modo appreso, di competenza della Procura ordinaria o della Procura per i minorenni (a seconda dell’età dell’indagato). La “segnalazione” invece riguarda un affare civile, ovvero la tutela dei diritti della vittima minorenne, e deve essere indirizzata, nei casi di abuso e maltrattamento, alla Procura per i minorenni per le iniziative civili di competenza.
Come deve essere fatta la segnalazione? A questo scopo, possono essere utili le cc.dd.  Linee Guida del 2008 della Regione Veneto per i servizi sociali e socio sanitari per avere un quadro generale. . La prima segnalazione deve riportare nella relazione, se possibile, tutte le informazioni relative sia al pregiudizio subito dal bambino o dall’adolescente che all’incapacità dimostrata dai genitori al riguardo.
La relazione deve perciò contenere informazioni: a) sul minore (collocamento, stato di salute, frequenza e rendimento scolastico); b) sulla sua situazione e sulle risorse familiari (relazioni affettive e educative significative); c) la descrizione dell’eventuale fatto acuto o delle ragioni complessive che giustificano la segnalazione.
Inoltre la relazione deve riferire d) gli interventi di protezione e cura già effettuati.
Le ulteriori segnalazioni, che riguardano i casi per i quali la situazione del minore si è evoluta tanto da richiedere la modifica del regime giuridico in precedenza determinato (affido familiare reso esecutivo dal giudice tutelare e decreto/sentenza del Tribunale per i minorenni), debbono riferire e documentare anche i precedenti per permettere al giudice la ricostruzione del caso e la sua valutazione d’insieme.
Rilevata  la situazione di pregiudizio e valutata l’urgenza di un intervento di tutela del minore, tale intervento si realizza come segue:
– il Servizio sociale riferisce al Sindaco la necessità di collocare immediatamente il minore in un luogo protetto;
– il Sindaco o suo delegato firma il provvedimento per l’allontanamento urgente del minore;
– il Servizio sociale organizza il collocamento del minore in luogo. Il luogo sicuro può essere il più vario a seconda delle circostanze, un parente, un vicino di casa, il reparto di un ospedale, una famiglia, una comunità.
In ogni caso viene individuato un soggetto a cui affidare il minore: il parente, il vicino, il responsabile del reparto, la coppia affidataria, il responsabile della comunità o lo stesso ente assistenziale;
– il Servizio sociale comunica tempestivamente il provvedimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni e provvede, anche successivamente, a fornire una dettagliata relazione sulla situazione e i motivi che hanno portato all’allontanamento urgente.
– il Servizio sociale (fatto salvo eventuali casi in cui questa comunicazione sia in contrasto con le esigenze di tutela del minore o delle indagini) comunica tempestivamente il provvedimento ai genitori del minore dando conto delle motivazioni e informando della segnalazione all’autorità giudiziaria.
– il responsabile dei Servizi sociali assume l’impegno di spesa necessario a sostenere l’intervento di protezione.
Lo stato di necessità permane fino al provvedimento di pronuncia del Tribunale per i Minorenni, che può disporre l’allontanamento del minore dalla famiglia oppure il suo rientro.
Per tali situazioni di emergenza descritte dalla legge che richiedono un soccorso immediato a causa di  una situazione critica del bambino per salvaguardare la sua incolumità (salute psicofisica, l’integrità fisica rispetto ad aggressioni alla persona o situazioni di grave pericolo del minore, anche con riferimento alla sua età e capacità) gli interventi generalmente necessari sono:
 
a. il ricovero in pronto soccorso ospedaliero del minore con lesioni o sintomi gravi di malattie fisiche o mentali e il rintraccio dei suoi genitori o degli altri adulti che ne hanno la responsabilità;
 
b. il rintraccio dei genitori o degli altri adulti responsabili del bambino occasionalmente smarrito o che sia sfuggito alla loro sorveglianza e il suo riaffido;
 
c. il collocamento in luogo sicuro – in attesa di un provvedimento giudiziario di tutela – del minore che sia materialmente o moralmente abbandonato o in grave pericolo, sia per la situazione ambientale sia per la qualità degli adulti cui risulta affidato. La situazione di pericolo evidentemente va commisurata anche all’età del minore e alle sue normali situazioni di vita”.
 
 
Quali le conseguenze e gli effetti dell’intervento ex art.403 c.c.
Quando il genitore viola i doveri connessi alla responsabilità parentale, il giudice può pronunciare:
• limitazioni della potestà. Si tratta di misure limitative disposte con riferimento tanto all’attività educativa, quanto alle funzioni di rappresentanza e amministrazione (art. 333 c.c.);
• la decadenza dalla potestà nei casi più gravi, che hanno arrecato un pregiudizio al figlio violandone i diritti della persona (art. 330 c.c.). Si tratta di un provvedimento radicale che può comportare anche l’allontanamento del minore o del genitore dalla residenza familiare e l’affido ad altro genitore o familiare. La decadenza dalla potestà è prevista anche come pena accessoria per determinati reati (art. 34 c.p.);
• la dichiarazione dello stato di adottabilità: la pronuncia è adottata dal Tribunale per i minorenni quando risulta che il minore è privo di cure materiali e morali ed i genitori ed i parenti tenuti non sono capaci comunque di provvedervi.
Tali provvedimenti incidono, dunque, sulle responsabilità giuridiche dei genitori sia nell’ambito
educativo che in quello patrimoniale.
Di regola, quando vi è una pronuncia di decadenza o sospensione della potestà, viene nominato un tutore cui compete la gestione delle responsabilità genitoriali.
Se il provvedimento non è definitivo, i servizi  possono coinvolgere i genitori in relazione agli accertamenti e alle verifiche richieste dal Tribunale per le sue decisioni.
Il provvedimento definitivo di decadenza dalle responsabilità genitoriali, quando non è accompagnato da un allontanamento, non interrompe i rapporti affettivi tra genitori e figlio. In tal caso il Tribunale stabilirà il regime giuridico di tali rapporti.
I provvedimenti di affievolimento della potestà, invece, sono in genere funzionali alla realizzazione
di uno specifico intervento dei servizi.
 
Ma se è l’autorità pubblica a sbagliare?
La recentissima sentenza della Cass. Civ. n. 20928 del 16 ottobre 2015, confermando un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale e sancendo un ulteriore passo fondamentale verso il riconoscimento di responsabilità,  ha condannato il Comune di Nova Milanese (MI) a risarcire i genitori del minore immotivatamente allontanato da casa dai servizi sociali, respingendo il ricorso presentato dal Comune stesso, condannato in Appello per danno biologico e morale. Nello specifico, tutto nasce dalla segnalazione di una maestra, che aveva sostenuto l’accusa in base alla quale i genitori della bambina avrebbero abusato sessualmente di quest’ultima.
In sede giudiziaria, però, l’accusa non aveva trovato alcun fondamento, anzi era stata ampiamente smentita, così l’ente locale è stato chiamato a rispondere per la leggerezza con la quale i suoi dipendenti hanno trattato il caso, non allertando nemmeno il Tribunale dei minori. Nella lunga motivazione, la Cassazione chiama alle proprie responsabilità il sindaco che ha potere di intervento diretto sull’ambiente familiare solo in caso di abbandono morale e materiale, vale a dire trascuratezza, mancanza di cure essenziali, percosse, ambiente insalubre e pericoloso, e in genere per situazioni di disagio minorile palesi, evidenti o di indiscutibile accertamento e fa propria la tesi della Corte d’Appello, secondo cui il personale del Comune è incorso da un lato in imperizia nel gestire la vicenda, facendo affidamento sui sospetti di persona priva della competenza richiesta per la valutazione del caso, anzichè percepire la delicatezza della situazione e la necessità di procedere a ulteriori ed approfondite indagini da parte degli organi giudiziari competenti; dall'altro lato in negligenza ed incuria, avendo - su tali precarie basi - sollecitato un provvedimento grave e traumatico quale l'allontanamento della minore dalla famiglia per vari mesi.
Come, inoltre, ha ben rilevato la Corte di appello, l'illecito attribuito dagli attori al Comune non consiste nella mera adozione di un provvedimento illegittimo, quanto piuttosto nella responsabilità per il fatto dei suoi dipendenti, le cui condotte commissive ed omissive sono state ritenute gravemente colpose e lesive del diritto degli attori all'integrità ed alla serenità del loro nucleo familiare.
Il Comune è stato chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 2049 c.c., sulla base di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile oggettivamente, per effetto della condotta colposa dei suoi dipendenti, nell'esercizio delle loro specifiche incombenze. Esso è stato ritenuto responsabile non per il comportamento della maestra d'asilo, bensì per l'improntitudine del personale addetto ai suoi Servizi sociali, che non ha saputo esercitare alcun vaglio critico sulle dichiarazioni e sulle convinzioni della suddetta maestra.
 
 
 
 
 
 
Un po’ di statistiche
 
Secondo dati recenti, in Italia sono più di 32mila i bambini che vengono chiusi nelle comunità o dati in affido a un’altra famiglia: gran parte delle volte le ragioni sono più che giustificate, trovandoci di fronte a casi conclamati di abusi sessuali, e maltrattamenti o l’indigenza. Vi sono però altre ragioni che non giustificano un allontanamento e che sono cresciute negli ultimi 10 anni del 29,3%. Tra i bambini allontanati da casa, più della metà finisce in affidamento ad altre famiglie, mentre il resto finisce nei cosiddetti servizi residenziali.
Nel 31% dei casi la decisione di allontanare il minore dalla famiglia è consensuale, cioè condivisa con i genitori.
 Il 26% è stato allontanato dalla famiglia in base a una misura di protezione urgente ex art. 403 del Codice Civile, decisa dal sindaco in collaborazione con i servizi sociali e le forze dell’ordine per maltrattamento o abuso conclamati, abbandono o altre ragioni particolarmente gravi e impellenti.
 Nel 37% dei casi l’allontanamento è stabilito per inadeguatezza genitoriale ovvero incapacità gravi di rispondere ai bisogni dei figli.
In tutto, nel territorio nazionale, sono oltre un migliaio le comunità di questo tipo che ospitano 15.624 ragazzini.
 
Dati a cura del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza- Ministero delle Politiche Sociali
 
Per quanto riguarda il Comune di Torino, esso è molto attivo e ha creato un Percorso Guida dell’Affido Familiare.
In particolare,  i Servizi sociali e sanitari promuovono iniziative di ricerca e sensibilizzazione dei cittadini per diffondere la cultura dell’affidamento come espressione di solidarietà tra famiglie nel proprio territorio. Inoltre svolgono attività di informazione/formazione e sostegno alle famiglie, coppie o singoli che si rendono disponibili all’affidamento.
Quando l’affidamento familiare risulta essere l’intervento più appropriato nell’interesse e per la tutela del minore, i Servizi sociali, cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento (legge 184/83 così come modificata dalla legge 149/2001 art. 4 comma 3), in collaborazione con quelli sanitari, preparano il progetto.
Il progetto redatto in modo partecipato, ove possibile, con la famiglia di origine e il minore, deve contenere:
· gli obiettivi da raggiungere;
· la durata prevedibile (non più di tre mesi);
· il programma di aiuto alla famiglia di origine;
· gli impegni dei Servizi sociali e sanitari e delle famiglie;
· le modalità degli incontri tra il minore e la sua famiglia di origine.
Il progetto deve essere flessibile per poter essere modificato, quando necessario, nel corso dell’esperienza in relazione all’effettivo evolversi della situazione.
Gli operatori dei Servizi sociali, insieme a quelli dei Servizi sanitari, preparano la famiglia d’origine all’affidamento: è compito loro inoltre agire per affrontare, per quanto possibile, le cause che hanno provocato l’allontanamento del minore.
Il Servizio sociale territoriale, cui è attribuita la responsabilità del progetto e la vigilanza, deve riferire al Giudice Tutelare (se l’affidamento è consensuale) e al Tribunale per i Minorenni (se l’affidamento è giudiziale) ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull’andamento del progetto, sull’evoluzione delle condizioni della famiglia
d’origine e sull’eventuale necessità di proseguire l’affidamento.
Il Comune di Torino ha approntato un’iniziativa fondamentale di sicuro interesse e di tipo trasversale a Servizi e Istituzioni. Altri strumenti potrebbero essere, ad esempio, l’inserimento nei Servizi Sociali della figura del consulente giuridico per attuare un percorso facilitativo di relazioni tra i vari soggetti coinvolti nella vicenda, nella predisposizione di linee guida o protocolli  tra Enti.
 
Casi
I casi in cui si può ricorrere al 403 c.c. sono davvero estremi: abbandono di un minore trovato solo in strada senza genitori che non sa dare indicazioni per identificarli o trovarli; il minore di qualsiasi età che sta subendo maltrattamenti gravi per cui è necessario sottrarlo senza indugio alcuno.
E’, altresì, giustificato il ricorso all’art.403 c.c. da parte dei carabinieri che sfondata la porta di abitazione su segnalazione dei vicini di casa,  trovino un minore in tenera età abbandonato e piangente oppure dell’assistente sociale che decida d’urgenza il collocamento in comunità di un minore di età prescolare, trovato urlante, in pessime condizioni igieniche e all’apparenza gravemente denutrito durante una visita domiciliare in cui la madre sia apparsa in evidente stato confusionale probabilmente a causa dell’utilizzo di sostanze psicotrope.
Ma vi sono anche casi crescenti di abusi  e incongruità di applicazione della norma. Occorre ribadire, anzitutto, che il fattore essenziale che giustifica queste misure non è tanto il pericolo, anche gravissimo, di un pregiudizio per il minore, quanto piuttosto l’intervento di estrema urgenza reso necessario per porlo in salvo da codesto pericolo. Ad esempio, si è ravvisato l’abuso nell’allontanamento d’urgenza di due minori prelevati dai servizi sociali dai nuclei familiari a seguito di numerose segnalazioni dei vicini di casa e della nonna paterna circa schiamazzi e confusione all’interno dell’abitazione, in cui risultavano alloggiati numerosi estranei, poiché il Tribunale ritenne che i servizi avrebbero dovuto procedere prima a un’istruttoria che nel caso di specie non era stata compiuta (Trib. Bologna del 13 gennaio 2011).
E’ sempre del Tribunale di Bologna del 8 giugno 2010, un decreto del Tribunale per cui a seguito di segnalazione degli insegnanti di una minore, veniva verificata la presenza di lividi al volto ed ematomi alla stessa che ella dichiarava effetto di percosse di una madre abitualmente manesca e abusante di alcol, indi per cui  il Servizio provvedeva, ex art. 403 c.c. durante l’orario di scuola ed avvalendosi della Forza Pubblica, a prelevare la bambina e a collocarla in una Struttura protetta. Il Servizio presentava i genitori della minore come affetti da difficoltà di carattere educativo. Il Tribunale così disponeva l’apertura di un procedimento volto ad accertare l’eventuale stato di abbandono e, in ipotesi, la conseguente dichiarazione di adottabilità  della minore; sospendeva la madre dall’esercizio della potestà che attribuiva, in via di totale affidamento, al Servizio Sociale del Comune; nominava il Servizio stesso Tutore provvisorio con i compiti di mantenere collocata, allo stato, la minore presso la Struttura Protetta di attuale domiciliazione;  regolamentava i rapporti con la madre, il convivente della stessa e la sorella della minore prevedendo la massima frequenza, anche quotidiana, degli incontri e con il solo limite delle esigenze scolastiche e di vita sociale della minore all’interno della Struttura.
Durante la fase processuale, il Tribunale esprimeva la propria condivisione con l’ orientamento giurisprudenziale secondo il quale costituisce diritto primario, di rango costituzionale, dell’essere umano in formazione il venir allevato nella propria famiglia con l’effetto che, ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore e, cioè, dell’attenuazione o ablazione di quel diritto, non possono avere rilevanza tale da giustificarne di per sé lo stato di abbandono e, quindi, la dichiarazione di adottabilità, il tipo di condotta dei genitori, i loro dati caratteriali, né il loro modo di intendere la vita o i rapporti umani, essendo necessario l’accertamento della carenza di quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico, indispensabili per lo sviluppo e la formazione della personalità del minore; il tutto con l’ulteriore requisito che la specifica condizione abbia carattere perdurante e non reversibile. Esso non ravvisava nulla di ciò che era stato relazionato dal Servizio Sociale, pronunciandosi, dunque, per la caducazione immediata del provvedimento assunto in via amministrativa ex art. 403 c.c. qualificando come grave leggerezza l’ignoranza dei primari diritti di stampo costituzionale coinvolti quanto incomprensibile sul piano umano. Il Tribunale, quindi, prescriveva il ricollocamento della minore da parte del Servizio nella famiglia e attivava un’istruttoria per procedere a un serio approfondimento della complessiva situazione attraverso lo svolgimento di una consulenza tecnica che analizzasse gli aspetti psicologici e comportamentali della minore e dei genitori, valutandone le eventuali conseguenze pregiudizievoli derivate dal periodo di ingiustificata permanenza della bambina nella Comunità.
 
Una pronunzia del Tribunale di Torino del 22 gennaio 2015 sancisce presupposti precisi per l’adozione del provvedimento amministrativo dell’art.403 c.c. sostenendo che “In materia di protezione dei minori, un provvedimento di natura amministrativa – come quello ex art. 403 c.c. - che va ad incidere su diritti di rango costituzionale (art. 30) in tanto può ritenersi consentito e compatibile con i principi del giusto processo (art. 111 comma secondo Cost.) in quanto l’efficacia di cui è dotato nel limitare la responsabilità genitoriale sia mantenuta in uno spazio temporale di assoluta urgenza, corrispondente ai “tempi tecnici” che occorrono per portare l’autorità giudiziaria a conoscenza dei fatti e consentire alla stessa di assumere con immediatezza, formato un collegio, le decisioni del caso, con provvedimento urgente e immediatamente esecutivo ex art. 333, 336 comma terzo c.c.”.
 
 
Analisi di alcuni casi
 
  1. La madre di una bambina di appena un anno di età decide di separarsi dal marito, e anziché seguire le vie ordinarie (incarico ad un legale, domanda di separazione),  chiama a raccolta i propri familiari (fratello e zii compresi); questi fanno un’imboscata al marito, lo malmenano, lo mandano all’ospedale con il naso e le ossa fratturate, e spariscono con la congiunta e la bambina. Questa donna è originaria del Trentino, mentre il nucleo aveva fissato la vita coniugale in un paese delle Marche.
    Da quel momento della bambina non si saprà più nulla per mesi. Si saprà, dopo mesi, quando cioè viene avviato il procedimento avanti al TM, che quella bambina era stata collocata ex art. 403 c.c. presso una struttura di accoglienza con la madre, dato che questa aveva denunciato violenze da parte del marito.
    Il fatto è che essendo partito il tutto sulla base dell’art. 403 c.c., oltre alla causa di separazione, quell’uomo deve affrontare un altro procedimento avanti al TM (peraltro a centinaia di km) e può vedere la bambina, ancora oggi, per un’ora a settimana in ambiente protetto.
    Si è creato cioè fin dall’inizio la presunzione, pressochè assoluta, che lui sia colpevole, e non è valsa (a tutt’oggi) la CTU espletata e che ha appurato la mancanza di indici di personalità violenta in capo al marito, per rimuovere quella presunzione di colpevolezza.  
     
  2. Sara (il nome è di fantasia) è una bambina nata nel 1999, con una malformazione alla testa; viene sottoposta a due interventi chirurgici quando è ancora molto piccola, con inserimento di una valvola sottocutanea. Ciò rende necessario proteggere la bambina quando gattona, e per questo i genitori nei primi tempi le fanno indossare un caschetto di gomma piuma.
A causa della sua condizione fisica, la bambina ha problemi ambulatori, di linguaggio e di relazione.
I genitori si fanno estremamente protettivi, tanto che, - quando Sara comincia a frequentare l’asilo – il momento del distacco da loro è difficile.
Ad un certo punto, nel luglio 2005, quando già il ciclo della scuola materna volge al termine, le maestre della scuola materna trasmettono una segnalazione ai servizi sociali, una relazione lunga e articolata, che contiene le annotazioni raccolte in tutti gli anni passati; vi si legge di conflittualità tra i genitori (tale riferita dalle maestre, dunque !), di atteggiamento svalutativo del padre verso la madre, di strani riferimenti fatti da Sara a certi giochi con il papà; avrebbe detto “a casa con il papà non gioco più a mamma e papà ma a mamma e figlio”.
Insomma, si allude a possibili comportamenti della sfera sessuale, e si aggiunge che la bambina è molto seduttiva e che si tocca ovunque mentre parla. I servizi sociali trasmettono, allora, la relazione della scuola alla Procura del TM di Bologna.
Il P.M. incarica, allora, i Servizi di indagare sulle condizioni di vita della famiglia; dopodiché, ricevute le informative richieste, chiede provvedimenti a tutela della minore, data la situazione di pregiudizio che “appare”, e, precisamente, viene richiesto l’affidamento provvisorio della bambina ai Servizi; il p.m. non chiede che Sara venga allontanata dai propri genitori.
A distanza di soli 10 gg. interviene il TM con un decreto urgente, non preceduto da alcuna convocazione dei genitori, con una motivazione in cui si dice che c’è forte conflittualità tra i genitori; il padre ha un attaccamento morboso alla bambina;  la madre manifesta sentimenti di frustrazione/rassegnazione;  la bambina è seduttiva e si masturba in classe per intere giornate.
Situazioni non verificate, dunque, ma ritenute aprioristicamente, senza alcun accertamento effettivo, e con comportamenti riferiti alla bambina che vengono trasformati inesorabilmente in qualcosa di patologico e sospetto:  “la bambina si masturba in classe per intere giornate”.
Dovremmo riflettere su questo: pensiamo alla differenza che passa tra il dire – come si trovava scritto nella prima relazione delle maestre “si tocca ovunque mentre parla” e dire invece “si masturba in classe per intere giornate”.
E’ la stessa cosa?
Il tribunale per i minorenni dispone, dunque, l’affidamento ai servizi e che la bambina venga collocata in un gruppo famiglia. Il tutto viene sorretto, normativamente, con il riferimento all’art. 333 c.c.
Ma dov’era qui la condotta pregiudizievole di cui parla l’art. 333 ? Dov’è l’istruttoria necessaria per accertare l’effettività delle condotte imputate e del pregiudizio ipotizzato a carico della bambina ?
Da qui è cominciato il calvario di quella famiglia, che prosegue a tutt’oggi.
Il decreto che dispone l’allontanamento è di fine marzo 2006; non viene notificato ai genitori né portato a loro conoscenza in alcun modo. Fino a pochi giorni prima essi erano all’oscuro di tutto.
Passa un mese e, prevedendo l’opposizione dei genitori, i servizi chiedono al TM l’autorizzazione ad avvalersi della forza pubblica, che viene concessa. Nel frattempo, i genitori ricevono soltanto una laconica citazione a comparire davanti al giudice. Il 12 giugno, prima comunque della comparizione, essi ricevono un telegramma con invito a portare Sara presso i servizi medesimi, il giorno successivo. Qui, Sara viene prelevata dopo che la mamma, su invito degli operatori, la informa che andrà a fare una vacanza ma che si rivedranno presto.
Sara viene collocata presso un istituto gestito da religiose, vedrà – da lì in poi – i genitori per un’ora al mese, alla presenza di un educatore. E’ una vera via crucis: addirittura, papà e mamma sono costretti a depositare un ricorso al TM per ottenere di poter partecipare alla Prima Comunione di Sara. C’è voluto l’avvocato e un ricorso per questo.
Dopo numerosi tentativi, ottengono finalmente dal giudice l’espletamento di una CTU. Sembra uno spiraglio importante che arriva dopo due anni di buio, soltanto infatti nel giugno 2008, dopo innumerevoli insistenze del difensore: due anni per ottenere un accertamento peritale !
Sembrava l’inizio della fine, e invece no.
Nel frattempo, le relazioni informative dei Servizi avevano fatto convergere in una direzione diversa le originarie accuse: non più il riferimento ai comportamenti a sfondo sessuale tra il papà e la bambina, non più la conflittualità, bensì addebiti generici di discuria, di uno stile genitoriale non rapportato alle caratteristiche di personalità della piccola, di iperprotettività.
Sara dunque era stata allontanata dai genitori per determinati asseriti motivi mentre altre erano le ragioni per le quali si continuava a mantenere la bambina lontana dai genitori !
La CTU cosa dice ?
Parla di una certa immaturità dei genitori, di fragilità narcisistica, di una situazione insomma condita a suon di paroloni che fanno effetto ma che in realtà non mettono in evidenza alcun reale elemento idoneo a giustificare il permanere dell’allontanamento.
Se fosse così, quanti bambini dovrebbero essere allontanati dai loro genitori !
Per fortuna viene ammessa l’esistenza di un innegabile legame affettivo tra la bambina e i genitori, messo a dura prova sì dal quel distacco forzato, ma che ha resistito; Sara, però, esprime riserve all’idea di rimanere la notte con i genitori (si è disabituata, ormai), per cui il progetto proposto dalla CTU e avallato dal TM è questo:
collocare Sara presso una famiglia affidataria, una volta sperimentato l’inserimento positivo, realizzare gradualmente un incremento dei tempi di incontro: da un’ora al mese, a mezza giornata nel week end, e poi una giornata; a seguire,  il fine settimana, dapprima senza pernottamento, poi con pernottamento: il decreto è del 13 maggio 2009, ed è provvisorio, dunque non reclamabile.
Ma non è ancora giunto il momento – lo capiranno da lì a poco – di deporre la propria croce. E, infatti, comincia il calvario della fase attuativa.
Ad oggi, non è ancora cambiato nulla, tranne che il recentissimo (nello scorso mese di maggio) inserimento di Sara nella famiglia affidataria. Solleciti depositati in tribunale, tradotti in raccomandate ai servizi (senza risposta), anche segnalazioni al Procuratore della Repubblica presso i minori.
Per ottenere un minimo sblocco si è dovuti ricorrere alla messa in mora del Comune, ai sensi dell’art. 4 della legge regionale in materia (legge che attribuisce ai Comuni funzioni di intervento e di vigilanza sui servizi sociali nell’interesse dei minori).
In pratica, questa messa in mora consente di far valere la responsabilità del Comune, formalmente, a tutti gli effetti, per la mancata attuazione dei provvedimenti giudiziali.
La bambina, quando venne allontanata, aveva sei anni. Oggi ne ha undici.
 
  1. Il collocamento in comunità ex art.403 è anche disposto con una certa frequenza soprattutto dalla polizia giudiziaria in casi di minori non accompagnati sbarcati sulle coste italiane soli e senza documenti. Diversi sono i casi che possono presentarsi:
  2. situazioni di emergenza, abbandono morale e materiale, situazioni di pericolo, anche per cause ambientali, cosi come individuate dall'art.403 del Codice Civile;
  3. situazioni che rientrano nelle ipotesi previste dall'art. 343 del Codice Civile (morte dei genitori, abbandono alla nascita del minore, incapacità dei genitori, perdita, decadenza, sospensione o esclusione della potestà genitoriale, irreperibilità dei genitori o impedimento all'esercizio della potestà genitoriale).
Nel primo caso, in cui la potestà genitoriale è esercitata male o non è affatto esercitata, i servizi che vengano a conoscenza di tali situazioni, possono fare una segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, per un provvedimento di affidamento e collocheranno il minore in luogo sicuro. E' possibile, inoltre, una segnalazione al Giudice Tutelare per l'individuazione del tutore legale.
Nel secondo caso, i Servizi Sociali possono, in base alle disposizioni dell'art.343 del Codice Civile, segnalare la situazione al Giudice Tutelare, individuando il tutore (un parente presente in Italia, oppure una terza persona, individuata anche con il consenso dei genitori).
Nel caso in cui non siano presenti parenti in Italia, il tutore potrà essere una terza persona e il minore potrà essere inserito in un istituto di accoglienza o in una comunità familiare.
 
Da ultimo, si segnala che in data 17 dicembre 2014 è stato presentato al Parlamento il DDL n. 1726, ancora in fase di valutazione e studio al Senato, sino all’ultimo aggiornamento del 8 aprile 2015, di riformulazione della norma sin qui trattata.
Le ragioni della riformulazione risiedono nei numerosi contrasti interpretativi, sia in ordine ai soggetti attualmente legittimati ad assumere l'iniziativa sopra descritta e sia in ordine alle sue modalità  di esecuzione. L'applicazione di tale norma sul piano pratico, a causa della propria attuale formulazione, genera inoltre sull'intero territorio nazionale una serie di prassi, a dir poco anomale, e che di fatto provocano più traumi sui minori dei danni che, proprio tale norma, vorrebbe evitare di produrre sui medesimi.
Sempre più diffusamente infatti i mass media e non solo ci propongono casi in cui i minori sono allontanati dalle proprie famiglie per lunghi periodi di tempo per poi farvi rientro solo dopo che sia stata accertata l'inesistenza della situazione in forza della quale l'allontanamento era stato operato. Casi in cui i genitori, recandosi a scuola ove hanno portato i propri figli, ricevono la notizia che questi ultimi sono stati prelevati in forza di tale articolo di legge e che, pertanto, per avere notizie ed informazioni sul loro conto, dovranno recarsi presso il competente tribunale per i minorenni.
Pertanto, si rende necessario proprio per eliminare quelle prassi anomale, che di fatto incidono così gravemente sul diritto del minore di rango costituzionale e di rilievo altresì sovranazionale e che determinano un pregiudizio irreparabile sul minore, ossia quello dell'allontanamento e dello scardinamento quindi del minore dalla propria famiglia, con conseguente disgregazione della stessa, riformare la norma codicistica, stabilendone regole certe e conformi al principio del giusto processo.
La riforma prevede la integrale sostituzione dell'attuale articolo 403 del codice civile., prevedendo, anzitutto, la necessità, al fine di operare l'allontanamento del minore dalla propria famiglia di origine, di un accertamento della esistenza di un pericolo attuale per la vita o per l'integrità  fisica del minore.
A tale scopo si prevede, quindi, che per qualsivoglia allontanamento d'urgenza deve esserci la prova, in altre parole, di un pericolo di vita o che incida sulla persona fisica del minore e che lo stesso debba essere attuale e non pregresso o, peggio ancora, futuro.
La norma poi prevede che la condizione di insalubrità  dei locali o pericolosità  dei medesimi sia perdurante, implicando tale ipotesi che l'accertamento dell'esistenza di tali ultime circostanze venga sottoposto ad un monitoraggio lungo nel tempo e ciò proprio affinchè se ne possano individuare le cause, non di natura economica, ma di altro tipo (esempio incuria del genitore).
Il potere decisionale spetta al tribunale ordinario che assume il provvedimento secondo le modalità  dei procedimenti cautelari (quindi fumus boni iuris e periculum in mora) per evitare che la pronunzia  possa basarsi su mere congetture o su impressioni oppure opinioni del servizio sociale e/o del pubblico ministero.
La norma prosegue avendo quale scopo quello di evitare che il minore, appurata la presenza di una situazione fondante l'adozione della misura di protezione, e avendo egli dei parenti entro il quarto grado che si possano occupare di lui, venga invece collocato presso una struttura di accoglienza.
Questo è infatti ciò che accade per prassi nell'attuale sistema: i servizi sociali spesso infatti non hanno cura di valutare l'esistenza di parenti entro il quarto grado e la possibilità  di collocare presso questi ultimi i minori, preferendo stabilire una collocazione che, sebbene neutra, è comunque completamente avulsa dal mondo in cui il minore, fino a quel momento, aveva vissuto e quindi senz'altro meno preferibile.
La riforma precisa altresì il soggetto che deve eseguire il provvedimento di protezione.
Trattasi di un’unità  multidisciplinare all'uopo precostituita presso ciascuna Asl e ciò al duplice scopo di garantire, da un lato, che l'intervento venga eseguito da persone dotate di diverse competenze interagenti tra di loro e, dall’altro, che gli operatori che eseguono tale tipo di intervento siano diversi da quelli che si occuperanno del progetto funzionale al supporto genitoriale. Ciò infatti agevolerebbe senz'altro la costituzione del necessario rapporto fiduciario tra famiglia e servizio sociale.
La norma inoltre dispone le modalità  con cui l'intervento di protezione deve essere eseguito, dando prevalenza alla tutela del minore, nonchè l'obbligo, oggi non praticato o poco praticato, dei servizi sociali di formulare un progetto funzionale a promuovere il reinserimento dei minori nella propria famiglia.
 
Concludo con uno stralcio del racconto tratto da “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. La storia di una gabbianella che per una serie di sfortunate circostanze si trova a morire sul balcone della casa dove abita un gatto, Zorba,  al quale, in punto di morte, fa promettere di non mangiare l’uovo che avrebbe deposto prima di morire e di aiutare il piccolo a volare. Il gatto manterrà le promesse e si prenderà cura della piccola gabbianella Fortunata come una vera mamma affidataria.
 
 
Prometto che ti insegnerò a volare
miagolò Zorba ...
Volare mi fa paura
stridette Fortunata;
Quando succederà, io sarò accanto a te
miagolò Zorba leccandole la testa.
 
Luis Sepùlveda
(dalla “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”)