La Cassazione ha affrontato il caso relativo alla opponibilità a terzi (e nella specie all'acquirente dell'immobile) dell'assegnazione della casa familiare o comunque della situazione di convivenza di fatto (Cassazione, sentenza 11 settembre 2015, n. 17971).
In particolare, la Cassazione individua nella posizione del convivente, sia la qualità di "detentore qualificato" sia la qualità di "assegnatario" (quest'ultima in presenza chiaramente di un provvedimento di "assegnazione" della casa, a sua volta basata sulla decisione di collocamento dei figli presso tale convivente).
Quanto alla posizione di "detentore qualificato", questa discende dall' affectio su cui si basa la relazione di convivenza e prescinde, quindi, da un provvedimento giudiziale di assegnazione. La convivenza more uxorio infatti è intesa come un autentico consorzio familiare, che determina sulla casa dove si svolge la vita comune, un potere di fatto basato su interessi ben diversi da quelli derivanti da ragioni di mera ospitalità.
Tanto è vero che la giurisprudenza aveva già riconosciuto al convivente di fatto il potere di invocare la tutela possessoria, in caso ad esempio di spoglio (Cassazione, sentenza n. 7214/2013).
Il convivente - detentore qualificato - ha dunque un diritto di godimento dell'immobile, assimilabile a quello del comodatario e opponibile a terzi per nove anni, senza necessità di trascrizione alcuna o di formale provvedimento di assegnazione. 
Addirittura la Cassazione afferma che tale diritto di godimento è opponibile anche all'acquirente dell'immobile, purchè questi fosse consapevole della pregressa condizione di convivenza.
Quanto poi alla posizione del genitore "assegnatario" della casa di abitazione (in forza quindi di un provvedimento del Tribunale), questi avrà un doppio titolo da opporre al terzo, ossia la detenzione qualificata, che già discende dalla relazione di convivenza sopra detta, ed anche il provvedimento di assegnazione.
La Cassazione precisa che il provvedimento di assegnazione  è opponibile anche se non trascritto, entro il limite di nove anni dalla data del provvedimento, ai sensi dell'articolo 337 sexies del codice civile (in presenza di trascrizione, invece, l'opponibilità non è soggetta al limite dei nove anni).