L’istituto della riabilitazione è stato abrogato dal decreto legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80).

Allo stesso tempo è stato introdotto il nuovo istituto della esdebitazione, previsto dall'articolo 143 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), per il quale "il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali" purchè ricorrano determinate condizioni.

In altre parole l'esdebitazione consiste nella liberazione del fallito dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali, cosicchè questi ultimi non possano intraprendere nuove azioni nei confronti del debitore stesso per il soddisfacimento di quella parte di credito rimasta insoluta.

Ci si chiede, tuttavia, quale sia la sorte delle incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento, dal momento che l'esdebitazione non riguarda tale aspetto.

Tali incapacità sono previste dal codice civile e dalle leggi speciali. Esse sono ricollegate, in alcuni casi, alla permanenza dell’iscrizione nel registro dei falliti (così per la nomina a tutore, protutore, curatore dell’emancipato, ai sensi degli articoli 350, n. 5, 355, 393 del codice civile); in altri casi, alla mera qualità di fallito (così per la nomina ad arbitro, ai sensi dell'articolo 812 del codice civile); in altri casi ancora, alla insussistenza, a causa del fallimento, di taluni requisiti, come la buona condotta e il pieno godimento dei diritti civili (così per le professioni sanitarie), dei diritti civili e politici (per i giudici di pace), dei diritti civili (geometri), del pieno esercizio dei diritti civili e la condotta specchiatissima e illibata (avvocati).

Le suddette incapacità, ai sensi degli articoli 50 e 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel testo anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/06, perduravano oltre la chiusura della procedura concorsuale.

Il rimedio per far cessare tali incapacità era appunto la riabilitazione civile.

Altro effetto della riabilitazione era l’estinzione del reato di bancarotta semplice, così come previsto dall’art.icolo 241 della Legge fallimentare. Se vi era già stata condanna penale, la riabilitazione ne faceva cessare l’esecuzione e gli effetti, analogamente all’amnistia.

Infine, la sentenza di riabilitazione civile ordinava la cancellazione del richiedente dal pubblico registro dei falliti.

Dopo la riforma del 2006, sono stati soppressi sia l'istituto della riabilitazione civile sia il pubblico registro dei falliti, ma non sono state introdotte norme sul riacquisto delle capacità da parte dell’ex fallito e sulle iscrizioni riportabili sul certificato del casellario a richiesta dell’interessato.

Conseguentemente l'ex fallito ha grandi difficoltà nel richiedere l’iscrizione al registro delle imprese per l’inizio di nuova attività commerciale, non avendo alcun documento (sentenza o atto amministrativo) che dichiari o attesti il riacquisto delle capacità, cioè la riabilitazione, essendo stato detto istituto abrogato.

Nello stesso tempo, non può ottenere certificato del casellario che non menzioni i provvedimenti giudiziari relativi al fallimento, atteso che l’art. 24 T.U. 313/2002 riconosce tale beneficio solo in presenza di sentenza di riabilitazione.

Incontra, pertanto, ostacoli nel momento in cui intende porre in  essere istanze o attività che presuppongono il pieno esercizio dei diritti civili, o la buona condotta, o, ancora, la  cancellazione dal registro dei falliti.

I tribunali hanno adottato soluzioni diverse.

Alcuni giudici hanno disposto la cancellazione del nominativo del ricorrente dal registro dei falliti e dichiarato la cessazione delle incapacità, precisando che non occorre istanza di riabilitazione, in quanto questa si produce ex lege con il decreto di chiusura del fallimento (Tribunale di Manotova, sentenza dell'8/2/2007; Tribunale di Vicenza, sentenza del 20 luglio 2006).

Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 39/2008 la quale  "dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 50 e 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo in quanto stabiliscono che le incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale".

Conseguentemente, a seguito dell'abrogazione della riabilitazione e della dichiarazione di incostituzionalità delle norme sopra dette, si è affermato il principio secondo cui le incapacità personali derivanti dalla dichiarazione di fallimento vengono meno automaticamente al momento stesso della chiusura del fallimento (Cassazione, sentenza n. 4630, del 26/02/2009).