IL CASO

Alla morte dei genitori i quattro figli, tre sorelle ed un fratello, ricevono in eredità alcuni beni immobili ma non riescono a trovare accordo di divisione della massa relitta, nonostante un tentativo di mediazione a cui partecipano due degli originari eredi ed i figli subentrati per rappresentazione nel rapporto successorio ad un fratello e ad una sorella, nel frattempo deceduti.
Avviene così che due coeredi (attori) evocano nel giudizio divisionale gli altri due, una sorella (originaria erede) e i due nipoti di costei subentrati per rappresentazione all’altro coerede nel frattempo deceduto: chiameremo quest’ultimi  rispettivamente Mevia, Tizia e Sempronio.
Quasi contemporaneamente un terzo estraneo introduce, nei confronti di tutti i suddetti coeredi una causa civile avanti lo stesso Tribunale , chiamato a decidere anche la causa di divisione ereditaria, per far accertare l’acquisto per un usucapione di due beni (negozio e magazzino) facenti parte  dell’asse ereditario da dividere.
Nel costituirsi  nella causa ,  Mevia chiede la sospensione del giudizio di divisione in attesa della pregiudiziale definizione di quello di usucapione ex art. 295 c.p.c. stante il fatto che un terzo vanta un possesso a ciò utile, domandando, comunque, la divisione dell’intera comunione ereditaria,  richiesta  condizionata dagli esiti di detto diverso giudizio.
Alla prima udienza gli eredi attori del giudizio di divisione rinunciano parzialmente alla domanda relativa al cespite ereditario oggetto di domanda di  usucapione, instando  per una divisione parziale dell’eredità; la rinuncia viene accettata dagli altri due coeredi Tizio  e Sempronio ma non da Mevia, sulla scorta del principio della universalità della divisione ereditaria che si piegherebbe ad alcune eccezioni, individuate dalla giurisprudenza di legittimità nella esistenza di un accordo unanime degli eredi per una divisione parziale ovvero quando una delle parti richieda una divisione parziale e le altre non amplino la domanda chiedendo a loro volta la divisione dell’intero.
Il Tribunale adito,  con sentenza parziale, dichiara l’estinzione  del giudizio limitatamente ai beni oggetto della ricordata domanda di usucapione, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la divisione del residuo, opinando che le deroghe al principio della universalità della divisione ereditaria  non si esauriscano nelle ipotesi suddette, quali indicate dalla giurisprudenza della Cassazione soprattutto nelle sentenze 2011/573 e 1994/10220, dovendosi ricomprendere anche le ipotesi di un  difetto di interesse del coerede alla divisione dell’intero, ravvisato nella fattispecie, nel fatto che Mevia aveva impostato il suo sistema difensivo in modo incompatibile con l’intenzione di volere la divisione dell’intero, desumendo ciò dalla affermazione di costei  che il terzo vantava un possesso utile all’usucapione, relativamente ad un cespite che la stessa assumeva, quindi, di non far parte dell’asse da dividere.
La sentenza veniva impugnata da Mevia presso la Corte di Appello di Roma che, con decisione 7104 del 19.11.14, respingeva l’appello confermando le statuizioni del Giudice a quo ed, anzi, andando oltre, attraverso una motivazione che,  a quanto consta,  non ha precedenti
LE SENTENZE DELLA CASSAZIONE E DELLA CORTE DI APPELLO DI ROMA
La necessità che l’asse ereditario relitto sia diviso interamente tra tutti i coeredi, su cui si fonda il principio della universalità della divisione, trova la sua ratio nella esigenza di garantire a tutti i condividendi la formazione di porzioni tra loro omogenee e proporzionali ai valori delle rispettive quote di partecipazione, salvo i casi legislativamente previsti (v. art. 713, co. 3, 720 e 722 c.c.). La giurisprudenza della Cassazione ha da tempo ritenuto che detto principio incontra due ulteriori eccezioni,  nell’accordo unanime dei condividendi in favore di una divisione parziale sulla comunione ed allorchè,  richiesta una divisione parziale da una delle parti, le altre non amplino la domanda chiedendo a loro volta la divisione dell’intero (vedasi Cass. 2011/573 ma anche i precedenti conformi Cass. 1994/10220; Cass. 1980/905; Cass. 1978/4036).
La questione sottoposta al vaglio della Corte di Appello di Roma riguarda l’interrogativo se le due ipotesi testè indicate, della deroga al principio della universalità della divisione, esauriscano tutte le ipotesi possibili ovvero costituiscano una esemplificazione esaustiva.
Orbene, con la sentenza in rassegna (7104 del 19.11.2014) appare che la Corte di Appello di Roma abbia dato risposta negativa laddove ha ritenuto la possibilità di derogare al principio in esame sulla base di “valide ragioni non codificate ma da rinvenire in situazioni concrete che legittimano la richiesta di un provvedimento di scioglimento parziale che risulti non solo utile ed opportuno ma soprattutto efficace al fine di portare allo scioglimento della  comunione in atto tra i coeredi”.
Il giudice avrà il compito di valutare gli specifici contenuti “ delle valide ragioni non codificate”, attraverso la valutazione delle evidenze processuali.
Nella specie, questi sono stati individuati dalla Corte Capitolina  nella carenza di interesse  della appellante alla divisione dell’intero, ricavabile dal contegno processuale della medesima, improntato, ad avviso del Giudice ad quem, dalla mancanza di una reale volontà di pretendere lo scioglimento anche dei beni oggetto della domanda di usucapione, evincibile : a) dall’aver la stessa indicato nei suoi scritti difensivi  il fatto oggettivo della occupazione ultraventennale del terzo; b)  e dalla circostanza che, comunque, l’appellante , attraverso la prosecuzione del giudizio sull’intero asse, non avrebbe ottenuto un risultato maggiore  che sarebbe conseguito alla limitazione del giudizio divisorio ai soli cespiti che, per giudizio pacifico fra le parti coeredi rientravano concretamente nell’asse ereditario.
In buona sostanza, non contestando specificamente, l’appellante, il fatto oggettivo della occupazione ultraventennale del terzo (favorevole alla sua pretesa di acquisizione del bene per usucapione), doveva ricavarsi manifesta la sua reale volontà di pretendere la divisione di tutti gli altri beni ereditari escluso quello oggetto della più volte ricordata domanda di usucapione  del terzo.
In definitiva, appare che la Corte di Appello di Roma  abbia voluto dire che la  intenzione di volere la divisione parziale non deve essere manifestata  espressamente, potendo ricavarsi anche per implicito  dal comportamento della stessa parte che invoca (incompatibilmente) il principio della universalità della divisione.

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Cerveteri, 16.04.2015
                                                                        Avv. Antonio Arseni 

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