La Cassazione (sentenza 29 marzo 2017, n. 8053) ha affrontato le seguenti questioni:
  • la prima è se la dichiarazione di successione implichi o meno l'accettazione dell'eredità;
  • la seconda è se l'eventuale atto di rinuncia all'eredità, affinchè possa valere ai fini fiscali (ed escludere quindi la trasmissione dei debiti tributari), debba necessariamente essere accompagnata da una dichiarazione di successione rettificativa e/o modificativa da presentarsi al competente ufficio finanziario, come prevede l'articolo 28, comma 6, del Decreto Legislativo n. 346/1990.
Sulla prima questione, la Cassazione ha ribadito un orientamento ormai pacifico, ossia che la denuncia di successione non implica affatto accettazione di eredità, in quanto trattasi di un obbligo di natura meramente fiscale. Tale obbligo, del resto, è posto a carico dei semplici "chiamati" all'eredità, per espressa previsione dell'articolo 28 Decreto Legislativo n. 346/90.
Nella sentenza si legge infatti "L'assunzione della qualità di erede non può certamente desumersi dalla mera chiamata all'eredità, né dalla denuncia di successione trattandoci di un atto di natura meramente fiscale (Cass. Sez. 2, n. 10729 del 2009) che non ha rilievo ai fini dell'assunzione della qualità di erede che consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius (Cassazione sentenza n. 6479/2002; Cassazione sentenza n. 2849/1992)".
Sulla base di questa premessa, l'accettazione dell'eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l'obbligazione del chiamato all'eredità a rispondere di eventuali debiti del de cuius di natura tributaria.
E certamente, non può ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all'eredità, ai sensi dell'articolo 519 del Codice civile.
Si pone dunque la seconda questione, ovvero quale sia il significato da attribuire, con riferimento ai debiti di natura tributaria del de cuius, all'atto di rinuncia all'eredità effettuato senza osservare le modalità previste dall'articolo 28, comma 6, del Decreto Legislativo n. 346/1990, ossia senza darne formale comunicazione all'Ufficio del Registro mediante presentazione di una denuncia sostitutiva o integrativa.
Sul punto la Cassazione ritiene che, essendo l'accettazione dell'eredità il presupposto necessario perché si possa rispondere dei debiti ereditari, un'eventuale rinuncia esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell'eredità, ma della relativa prova l'Amministrazione finanziaria è parte processualmente onerata.
Va altresì evidenziato che, ai sensi dell'articolo 521 del Codice civile, la rinuncia ha effetto retroattivo; pertanto, chi rinuncia all'eredità è considerato come se non fosse stato mai chiamato.
Sulla base dei rilievi espressi, ritenuto che, come sopra precisato, la denuncia di successione non ha alcun rilievo ai fini dell'accettazione dell'eredità, e quindi con riferimento all'assunzione della qualità di erede, le formalità stabilite ai sensi dell'articolo 28, comma 6, del Decreto Legislativo n. 346/1990 non possono essere considerate essenziali per l'esistenza di una valida rinuncia, ma hanno la funzione di mera 'pubblicità notizia', dovendosi negare alle stesse natura costitutiva o integrativa dell'atto di dismissione di un diritto, oltre che a costituire requisito necessario per la validità della rinuncia stessa nei confronti del Fisco.
Nondimeno, va anche precisato che un atto di rinuncia effettuato senza le formalità stabilite dalla legge, comporta la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di notificare al contribuente rinunciatario gli atti impositivi; quest'ultima avrà l'onere di costituirsi in giudizio per far valere il proprio difetto di legittimazione passiva, e quindi la sua estraneità ai debiti tributari del de cuius. Mentre l'Amministrazione finanziaria, se vuole far valere la pretesa fiscale, è onerata della prova che il contribuente è decaduto dal diritto di esercitare una valida rinuncia, ad esempio per aver posto in essere atti incompatibili con la volontà di rinunciare che siano concludenti e significativi della volontà di accettare l'eredità.