L’obbligo della fedeltà, previsto dall’art. 143, 2° comma CC, si fa consistere comunemente non soltanto nell’impegno, ricadente su ciascuno dei coniugi, di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra gli stessi, ma anche come impegno a non tradire la fiducia reciproca.
Nell’obbligo della fedeltà coniugale – che rappresenta l’essenza stessa del matrimonio e si basa sul principio della esclusività tra uomo e donna – è ricompresa, dunque, una componente negativa, avente ad oggetto il dovere di non intrattenere relazioni con terzi, ed una  positiva caratterizzata dal dovere di ricerca e realizzazione della comunione di vita materiale e spirituale, che costituisce la più alta espressione del principio di solidarietà in ambito coniugale.
La infedeltà è una delle principali cause che provoca la rottura del rapporto matrimoniale addebitabile al coniuge responsabile in quanto normalmente, ma non automaticamente. determina la intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Spesso, infatti, accade che il tradimento sopravvenga in un contesto di disgregazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi e già esistendo una situazione ormai stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non più caratterizzata dall' “affectio coniugalis”, il che rende non adottabile la pronuncia di addebito, le cui conseguenze hanno una certa importanza comportando la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti ereditari da parte del coniuge responsabile.
Ed, invero, è principio stratificato nella giurisprudenza di merito e di legittimità, quello secondo cui la ritenuta violazione dell’obbligo di fedeltà, particolarmente attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, è causa di addebito della separazione a condizione che sia riscontrato – attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva e comparativa del comportamento di entrambi i coniugi – il nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale.
Quest’ultima, come comunemente si afferma in molte decisioni della giurisprudenza, deve essere  stata la causa e non la conseguenza del fallimento del matrimonio (v. ex multis Cass. 20/04/2011 n° 9024; Cass. 19/12/2012 n° 23426; Cass. 27/06/2013 n° 16285; Cass. 15/07/2014 n° 16172; Cass. 29/04/2015 n° 8713; Cass. 14/08/2015 n° 16859).
In altro senso, l’intrattenimento di una relazione extraconiugale deve presumersi come causa efficiente del formarsi o del consolidarsi di una situazione di definitiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza e, quindi, può affermarsi come l’infedeltà giustifichi normalmente l’addebito, rappresentando una violazione significativamente grave dei doveri coniugali, a meno che non si constati la mancanza di nesso causale con la crisi coniugale mediante una accurata e rigorosa verifica (così ex multis Cass. 12/06/2006 n° 13592, Cass. 17/01/2014 n° 929). In tali casi, i fatti che escludono il nesso di causalità tra la violazione accertata e l’intollerabilità, devono essere allegati e provati dalla parte che resiste alla domanda di addebito della separazione (Cass. 14/02/2012 n° 2053). Quindi, mentre il coniuge che chiede la pronuncia di addebito deve provare l’infedeltà  e la  sua efficacia causale  a determinare la crisi della coppia , spetta all’altro coniuge, il quale tale richiesta subisce,   di dimostrare  la anteriorità della crisi stessa rispetto al tradimento.
Se, dunque, l’intrattenimento di una relazione extraconiugale non può di per sé condurre ad una pronuncia di addebito, se difetta di una efficacia causale tale da aver scatenato la irreversibile crisi familiare, per altro verso non occorre che la relazione extraconiugale,  idonea all’addebito nei termini sopra prospettati, debba essere necessariamente caratterizzata dal fatto che il coniuge abbia “incontri sessuali” con una terza persona. E ciò perché, in un contesto, come accennato, in cui la fedeltà deve essere intesa nel senso più ampio di lealtà e dedizione vicendevole, è sufficiente un legame sentimentale connotato da un tale coinvolgimento, così percepito e percepibile nell’ambiente in cui è coltivato, capace di arrecare offesa all’onore ed al decoro del partner (v. Cass. 22/04/2013 n. 8929). Di conseguenza, l’assenza di una prova di “incontri sessuali” con il terzo non sarebbe sufficiente ad escludere l’addebito laddove venga provata l’esistenza di un legame connotato da reciproco coinvolgimento sentimentale tra uno dei coniugi ed una terza persona, con condivisione e ricambio della eventuale infatuazione dell’uno/a nei confronti dell’altro/a, capace di ferire, per la conoscenza all’esterno della relazione, la dignità della persona dell’altro coniuge, tanto da minare, nelle sue fondamenta, quell’impegno alla dedizione fisica e spirituale, espressione di una fusione morale che si realizza con il matrimonio.
Sotto tale profilo l’attuale giurisprudenza ritiene che non sarebbe sufficiente una mera frequentazione di un uomo con una donna a comportare la infedeltà che rimane, per così dire, solo virtuale, ossia priva di relazione in quanto non effettivamente realizzata.
Così come non comporterebbe alcun addebito il c.d. “amore platonico” purché mantenga un profilo di non pubblico dominio.
Dunque l’infedeltà costituisce la premessa della intollerabilità della convivenza secondo l’id quod plerumque accidit.
Purtuttavia, l’evento dissolutivo potrebbe non essere riconducibile alla condotta antidoverosa del coniuge, come nel caso di un isolato e recente episodio di infedeltà, da ritenersi presuntivamente superato nel prosieguo di un periodo di convivenza con la conseguenza che occorre l’elemento della prossimità (post hoc, ergo propter hoc) per far presumere la intollerabilità; il che avviene quando la richiesta di separazione personale segue, senza cesura temporale, l’accertata violazione del dovere coniugale (Cass. 25/05/2016 n° 10823).
In definitiva, tirando le fila di quanto sin qui si è detto, deve rilevarsi riassuntivamente, sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale in subiecta materia: 1) che debba essere inteso come adulterio non soltanto quello consumato fisicamente ma anche quello desiderato quando mantenga un profilo di pubblico dominio; 2) che anche nei casi di constatata ed inconfutabile prova del tradimento, occorre svolgere un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento tenuto da entrambi i coniugi, in quanto, laddove da uno dovesse emergere la preesistenza di una crisi irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale, la prova del tradimento non sarebbe sufficiente, di per sé, a fondare la pronuncia di separazione di addebito; 3) che, quindi, una volta accertato a carico del coniuge un comportamento riprovevole , deve giocoforza procedersi all’esame della condotta dell’altro dovendo quel comportamento essere giudicato all’esito di un raffronto con quello del partner al fine di verificare se l’adulterio sia stato la causa e non la conseguenza della crisi matrimoniale; 4) che gli episodi di adulterio devono essere caratterizzati dall’elemento temporale della prossimità giacché l’accettazione reciproca degli obblighi previsti dalle norme (come nel regime dei separati in casa) assurgerebbe ad elemento capace di recidere il nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale ; 5) che in tale contesto, al contrario, la reiterata violazione dell’obbligo di fedeltà costituisce causa idonea di addebito della separazione a nulla rilevando che tale violazione sia stata tollerata dall’altro coniuge (Cass. 12/03/2004 n° 5090 ma anche Cass. 07/03/2014 n° 5395).
Spesso accade che la crisi coniugale sia riconducibile alla violazione dell’obbligo di fedeltà imputabile ad entrambi i coniugi i quali, cioè, nel caso della convivenza abbiano intrattenuto relazioni sentimentali separatamente.
In tale ipotesi è possibile che la pronuncia di addebito sia pronunciata a carico di entrambi i coniugi a condizione: 1) che la violazione sia connotata dell’elemento della contemporaneità (v. Cass. 25/01/2016 n° 1259 ma anche Cass. 16142/2013); 2) che non sia, in applicazione dei suddetti principi, la conseguenza di una crisi già in atto (Cass. 20/04/2011 n° 9974).
Dunque la c.d. infedeltà reciproca non può condurre ad una  pronuncia di addebito ad entrambi i coniugi quando il tradimento di uno di essi interviene successivamente a quello dell’altro, per effetto di una una reazione, o come si suol dire, di una  “ ripicca”; nel qual caso l’addebito rimarrebbe a carico di chi ha tradito per primo e sempreché la condotta fedifraga non sia la conseguenza di una crisi già in atto (in questo senso v. Cass. 13/10/2014 n° 21596 e da ultimo  Cass. 08/02/2017 n° 3318).
Quindi quando la moglie (come nel caso deciso dalla seconda delle pronunce testé indicata) tradisce il marito dopo averlo scoperto intrattenere una relazione coniugale con altra donna, la separazione può essere addebitata esclusivamente al marito medesimo sempreché l’originaria infedeltà di questi sia stata la causa della rottura del rapporto coniugale e non la conseguenza, secondo i principi sopra esposti. 
Maggio 2017 - Avv. Antonio Arseni-Foro di Civitavecchia