La disciplina dettata dal nostro ordinamento in materia di divorzio è contenuta nella Legge 1 dicembre 1970 n. 898 e dalle sue successive modificazioni, attuate con la Legge 6 marzo 1987, n. 74 e, da ultimo, soprattutto sul piano processuale, dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80. Al fine di comprendere l'esatta portata della terminologia che verrà utilizzata nel presente paragrafo, occorre fin da subito chiarire che l'espressione “divorzio”, di uso comune, è in realtà impropria, dovendosi più correttamente parlare di “scioglimento” con riferimento al matrimonio civile, celebrato esclusivamente nella Casa Comunale, e di “cessazione degli effetti civili” in relazione al cosiddettio matrimonio concordatario, ovvero celebrato secondo il rito religioso e quindi trascritto presso i registri dello stato civile. Il principale presupposto richiesto dal legislatore affinchè venga meno nel sistema giuridico italiano il vincolo matrimoniale, insieme con le condizioni previste dal successivo art. 3, è, ai sensi dell'art. 1 della Legge n. 898/70, l'impossibilità di ricostituire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Occorre dunque che l'autorità giudiziaria accerti in concreto l'irreversibilità della crisi coniugale, tenuto conto che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio determinano uno stato definitivo, non più suscettibile di alcuna riconciliazione, sempre ammessa, invece, a seguito della sentenza di separazione. Infatti, a decorrere dal passaggio in giudicato della pronuncia cosiddetta di divorzio, cessano gli effetti del matrimonio, cosicchè marito e moglie solo a partire da questo momento perdono il loro status coniugale. Come accennato, l'art. 3 della Legge n. 898/70 elenca tassativamente le cause che, in presenza dell'impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione legale, consentono di pervenire ad una sentenza dichiarativa dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Vi è un primo gruppo di ipotesi, regolato dal primo comma del citato art. 3, che presuppone l'emanazione di una sentenza definitiva di condanna, successiva al matrimonio anche se riferibile pure a fatti avvenuti precedentemente, nei confronti del coniuge per alcuni gravi reati. In tale categoria rientra la condanna all'ergastolo o ad una pena superiore a 15 anni per aver commesso reati non colposi, che non abbiano natura politica e che non appaiano giustificati da motivi di particolare valore morale o sociale, nel qual caso la particolare entità della pena inflitta giustifica la domanda di divorzio proposta dal coniuge incolpevole, anche in considerazione dell'impossibilità della convivenza per l'intera durata della carcerazione. Si prescinde, invece, dalla misura della pena comminata, allorchè venga pronunciata nei confronti del coniuge una condanna a qualsiasi pena detentiva per delitti di carattere sessuale o collegati alla prostituzione, che di per sé determinano l'insorgere di sentimenti di repulsione nell'altro coniuge, oppure per delitti commessi nell'ambito della famiglia. Qualora ricorra una delle ipotesi fin qui delineate, la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è proponibile solo da parte del coniuge non condannato, il quale non abbia ripreso, dopo i fatti, la convivenza familiare, a tutti gli effetti, con il coniuge riconosciuto colpevole. Un secondo gruppo di ipotesi idonee a giustificare la proposizione della domanda detta di divorzio si presenta assai più variegato ed è previsto dal capoverso del richiamato art. 3 della Legge n. 898/70, nella sua attuale formulazione. Innanzitutto viene stabilito come tale domanda possa essere legittimamente presentata anche allorchè i processi penali innanzi indicati nei confronti dell'altro coniuge si siano conclusi senza condanna, a condizione che il giudice abbia riconosciuto un vizio totale di mente, abbia pronunciato l'estinzione del reato ovvero, limitatamente al delitto di incesto, abbia dichiarato il reato non punibile per mancanza della circostanza del pubblico scandalo. Ancora, è stabilito che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio possano essere chiesti da un coniuge cittadino italiano se l'altro, cittadino straniero, abbia ottenuto all'estero lo scioglimento del matrimonio, che non deve necessariamente essere riconosciuto produttivo di effetti nell'ordinamento italiano, o, sempre nel proprio Stato, abbia contratto nuove nozze, indipendentemente dal fatto che in quel territorio sia ammessa la poligamia. Ai sensi della lettera f) del secondo comma del più volte citato art. 3, il divorzio è altresì ammesso allorchè il matrimonio non sia stato consumato, circostanza, questa, che potrà essere provata con ogni mezzo, ivi comprese testimonianze rese da parenti ed amici, non risultando invece sufficienti le dichiarazioni, pure concordi, dei due coniugi. Un ulteriore motivo di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio è stato poi individuato dal legislatore nel passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione dell'attribuzione del sesso, mediante l'inserimento di un'esplicita previsione in tal senso a seguito dell'entrata in vigore della Legge n. 164/82 in materia. In base al disposto normativo, dunque, la rettifica di attribuzione del sesso ad uno dei coniugi non determina automaticamente il venir meno del vincolo matrimoniale, ma presuppone in ogni caso lo svolgimento di un procedimento di divorzio, fino alla conclusione del quale rimane valido ed efficace addirittura un matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Ma il presupposto indubbiamente invocato in maniera assai ricorrente, quale causa di divorzio, è previsto dall'art. 3 n. 2 le.. b) della Legge n. 898/70, come nel tempo modificata, e consiste nella proponibilità della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito del decorso di tre anni dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale in sede di separazione, pronunciata con sentenza divenuta definitiva ovvero con decreto di omologazione della separazione consensuale non più impugnabile. Peraltro preme precisare come, affinchè risulti proponibile la domanda di divorzio in relazione al requisito della definitività della sentenza di separazione, è necessario e sufficiente che sia passata in giudicato la pronuncia che dichiari la separazione personale dei coniugi, anche con sentenza parziale, rimanendo irrilevanti che altre questioni, ad esempio di carattere economico, siano ancora pendenti tra le parti. E' altresì richiesto, ai fini che qui interessano, che la separazione si sia protratta ininterrottamente, sebbene l'avvenuta interruzione, da intendersi come intercorsa riconciliazione tra marito e moglie, nel senso illustrato nell'approfondimento ad essa dedicato, non possa essere rilevata d'ufficio dal giudice, potendo esclusivamente essere eccepita dall'altro coniuge.