Va all’ex coniuge divorziato  non solo il 40% del Tfr, ma anche di tutte le somme corrisposte dall’azienda al dipendente al momento della cessazione del rapporto di lavoro come, ad esempio, l’incentivo alle dimissioni anticipate (cosiddetto incentivo all’esodo). È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1].

Come noto, la legge sul divorzio [2] accorda, al coniuge divorziato, il diritto a percepire il 40% del Tfr ricevuto dall’ex e solo con riferimento alla quota maturata durante gli anni di matrimonio. Tale diritto spetta solo se:
  • la coppia sia divorziata (quindi non spetta al coniuge separato). La giurisprudenza ha infatti precisato che il diritto alla quota del Tfrdell’atro coniuge sorge solo quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio, ma non anche quando sia maturata precedentemente ad essa;
  • il coniuge che intende ottenere la quota del Tfr non si è risposato;
  • il coniuge che intende ottenere la quota del Tfr percepisce l’assegno divorzile (il cosiddetto mantenimento).
 
Vanno escluse, dalla quota da ripartire con l’ex coniuge, eventuali anticipazioni sul Tfr riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto [3].
 
La sentenza della Cassazione in commento inaugura un’interpretazione nuova. Secondo la Corte, tutte le somme corrisposte dal datore di lavoro in aggiunta al Tfr, come incentivo alle dimissioni anticipatedal rapporto (cosiddetti incentivi all’esodo) non sono “regali” né hanno una natura eccezionale, ma sono a tutti gli effetti un vero e proprio reddito di lavoro dipendente; tali importi sono infatti predeterminati al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. Pertanto, qualora il rapporto di lavoro abbia coinciso con il matrimonio, il 40% di tali incentivi all’esodo spetta al coniuge divorziato.
 
In passato la Cassazione ha già mostrato di sposare un’interpretazione ampia del concetto di indennità di fine rapporto, facendovi rientrare tutti i trattamenti di fine rapporto – derivanti sia da lavoro subordinato, sia da lavoro parasubordinato – comunque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, corrisposta al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Quindi, anche l’indennità premio di servizio erogata dall’ex Inadel (oggi Inpdap), per i dipendenti degli enti locali [4] (in quanto equiparata alla indennità di buonuscita stabilita per i dipendenti statali) deve essere divisa con l’ex coniuge in ragione del 40%; tale indennità costituisce infatti una parte del compenso dovuto per il lavoro prestato [5].
 
Non vanno invece divise con l’ex coniuge tutte le somme con natura preminentemente previdenziale ed assicurativa, aventi origine in regimi professionali di natura privata, come l’indennità di cessazione dal servizio corrisposta ai notai, accomunata agli altri trattamenti di fine rapporto solo dalla scadenza al momento della cessazione dell’attività [6].
 
Si ritiene rientrante nelle somme da dividere con l’ex coniuge, insieme al Tfr, anche le indennità di risoluzione del rapporto di agenzia [7], anche se queste sono parametrate all’incremento del monte premi, agli incassi e alle provvigioni. Infatti, al fine di stabilire se una determinata attribuzione in favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dalla legge sul divorzio, non è determinante il carattere strettamente o prevalentemente retributivo dell’attribuzione, ma, piuttosto, il correlarsi della stessa all’incremento patrimoniale prodotto, nel corso del rapporto, dal lavoro dell’ex coniuge, che si è giovato del contributo indiretto dell’altro coniuge [8].[1] Cass. ord. n. 14171/16 del 12.07.2016.
[2] Art. 12-bis L. n. 898/1970.
[3] Cass. sent. n. 24421/2013.
[4] Art. 2, legge n. 152/1968
[5] Cass. sent. n. 19309/2003.
[6] Cass. sent. n. 5720/2003.
[7] Di cui agli artt. 24 e ss. dell’Accordo nazionale agenti di assicurazione del 28 luglio 1994
[8] Cass. sent. n. 28874/2005.