L’art. 155 del c.c. - riformulato radicalmente dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54, recante "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", introduttiva altresì degli abrogati articoli dal 155 bis all’art. 155 sexies del c.c. - fissa obiettivi e criteri ai quali il giudice deve attenersi nell'adozione dei provvedimenti relativi ai figli, giacchè nella sua più recente formulazione, frutto della riforma di cui al d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, il dato codicistico prevede stringatamente che “in caso di separazione, riguardo ai figli, si applicano le disposizioni contenute nel Capo II del titolo IX”, rubricato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” (artt. 337 bis cc e seguenti).
Com’è noto, l’art. 316 c.c., novellato dal d. lgs. n. 154/2013, stabilisce che “entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale [non si parla più di potestà] che è esercitata di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio”, che assumono rilievo quali diritti inviolabili ex art. 2 della Costituzione. La responsabilità genitoriale (intesa quale paritaria assunzione da parte di entrambi i genitori di diritti e di doveri nei confronti della prole, relativi al mantenimento, all’istruzione ed all’educazione, cui si aggiungono anche quelli di custodia, sorveglianza, convivenza) investe i genitori già a partire dal momento della procreazione e non viene certamente meno a seguito di rottura del vincolo coniugale per effetto di separazione. Anche nel caso di crisi del matrimonio, pertanto, sarà necessario provvedere ad una regolamentazione delle condizioni di mantenimento ed affidamento della prole; cosa che può avvenire di comune accordo tra i coniugi nel caso di separazione consensuale, o con provvedimento del magistrato in caso di separazione giudiziale.   
Com’e noto, esiste oggi nel nostro ordinamento la possibilità per i coniugi di procedere alla separazione consensuale ove sussista l’accordo dei coniugi sulle condizioni di mantenimento e sull’affidamento dei figli, da cui discende l’opportunità di presentarsi direttamente dinanzi al giudice, senza bisogno dell’assistenza professionale di un avvocato.
Ciò nonostante, l’occasione offerta dal legislatore ai coniugi di procedere alla separazione consensuale in presenza di accordo sulle condizioni di mantenimento e sull’affidamento dei figli, ha spesso trovato in questo insormontabile scoglio la sua nemesi.
Quando la coppia vuole separarsi in fretta perché ha trovato un accordo sulle questioni più importanti della vita coniugale, può depositare un ricorso in Tribunale o concludere un accordo di separazione in Comune, rendere apposita dichiarazione dinnanzi all’ufficiale di stato civile, oppure ancora concludere una convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte.
In tutte queste ipotesi, l’accordo tra i coniugi è fondamentale perché altrimenti l’unica via per separarsi rimane quella giudiziale, cioè una vera e propria causa tra coniugi, ciascuno assistito da un avvocato, in cui è il giudice a decidere sugli aspetti su cui la coppia non trova accordo.
La procedura di separazione attraverso presentazione dell’accordo in Comune è sicuramente più snella e veloce ma si può fare solo in pochi casi, come quando la coppia non abbia figli minorenni o maggiorenni disabili o economicamente non autosufficienti, oppure allorchè tra i coniugi non sussistano questioni patrimoniali (es. assegnazione di casa coniugale, divisione di beni mobili…).
In tutti gli altri casi, è obbligatorio ricorrere al Tribunale; più precisamente è necessario predisporre un ricorso congiunto, depositarlo in Tribunale e comparire davanti al Giudice che, verificato che effettivamente nei coniugi persista l’idea di separarsi, omologa la separazione. Per predisporre il ricorso non è necessario l’intervento di un avvocato, per cui accade che, per essere sicuri di inserire tutti i dati necessari, i ricorrenti usino un modello guidato o autocompilante reperito sulla rete, prima di depositarlo nel Tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi.
Il ricorso va firmato da entrambi i coniugi (in alcuni Tribunali viene richiesto che venga firmato in Tribunale, davanti al cancelliere, in altri è sufficiente che sia già firmato) e va depositato nella cancelleria della Sezione Famiglia (o, nei tribunali più piccoli, nella cancelleria del Presidente del Tribunale).
Come dicevamo poc’anzi, si può procedere alla separazione consensuale solo se marito e moglie hanno trovato il pieno accordo su tutti gli aspetti della separazione e, in particolar modo, sull’assegnazione della casa coniugale e degli altri immobili, sulla misura del mantenimento per l’altro coniuge e, per quanto qui ci preme di evidenziare, sull’affidamento e mantenimento dei figli (soprattutto se minori), nonché su tutte le altre questioni attinenti alla loro gestione (per esempio, le condizioni e le date delle visite, ecc.). Si tratta in buona sostanza di concludere un negozio giuridico, frutto della autonomia negoziale riconosciuta ai coniugi per la regolamentazione dei propri interessi. Al riguardo, infatti, occorre rammentare che la recente riforma ha ribadito la piena centralità del principio consensualistico anche nel diritto di famiglia, seppur con una serie di limiti. Difatti, l’accordo raggiunto dai coniugi in sede di separazione consensuale dev’essere sottoposto, come detto, al procedimento di omologa da parte del Tribunale, che verificherà la conformità alla legge del medesimo, la libertà del consenso manifestato da ciascuno dei coniugi e, soprattutto, la rispondenza delle previsioni ivi contenute al superiore interesse della prole. In quest’ottica si colloca e va letto, quindi, l’istituto dell’affidamento condiviso di cui all’art. 337 ter c.c., come recentemente novellato dal d.lgs. n. 154/2013, il quale appunto prevede testualmente che il giudice debba “prendere atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”.
Passando poi ad analizzare nel dettaglio i contenuti e le modalità di redazione di tali accordi,
nel ricorso che i coniugi depositano presso il competente Tribunale, finalizzato alla realizzazione della separazione consensuale - anche e principalmente in quella senza l’intervento degli avvocati, trattandosi sovente di modelli generici autocompilanti scaricati dalla rete – si inseriscono abitualmente delle clausole di stile generalissime, quali: “1) i figli minori sono affidati ad entrambi i genitori, con residenza e dimora abituale presso il/la padre/madre, in via …………………...; 2) L’altro genitore potrà vederli e tenerli con sé secondo accordi tra i coniugi e, in difetto di accordo, con le seguenti modalità: …..”.
Orbene, nell’esperienza pratica di chi vi parla, non solo la parte “secondo accordi tra i coniugi” ha rappresentato una clausola di stile priva di effetti concreti, bensì anche il prosieguo della formulazione dell’articolo di cui al ricorso presentato “… in difetto di accordo, con le seguenti modalità…” ha rappresentato un ostacolo insormontabile non solo per il realizzarsi di una separazione consensuale, ma ha addirittura comportato l’intervento dei legali, nonostante entrambi i coniugi non ne avessero reputato necessaria la presenza, proprio al fine di raggiungere un accordo sulle modalità concrete di affidamento dei figli.
Invero, quella che è stata definita in gergo giornalistico come “separazione fai da te”, racchiude in sé il pericolo di una prevaricazione della parte più forte ai danni di quella emotivamente più debole, anche e soprattutto in relazione ad una problematica emozionalmente sensibile quale quella dell’affidamento dei figli, al di là della problematica inerente la scarsa praticità con le cancellerie e le aule dei tribunali di chi non è del mestiere, da cui consegue – e non per amor di casta – la considerazione che la presenza del legale (anche uno solo per entrambi i coniugi) è invece una garanzia di equilibrio e rispetto delle norme poste a garanzia, soprattutto, dei minori.
Orbene, fermo restando che, nel caso di separazione dei genitori, in forza dell’art. 337 ter c.c. [che stabilisce che il giudice “Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati], l’affidamento esclusivo del figlio minore a un solo genitore è disposto dal giudice solo se l’affidamento condiviso crea pregiudizio al figlio stesso e che, conseguentemente l’affidamento esclusivo sia l’eccezione, mentre quello condiviso sia la regola da applicare alla generalità dei casi, il disaccordo (rectius, il mancato accordo) tra i coniugi sul diritto-dovere di tenere e vedere i figli in capo ad uno dei genitori rappresenta la maggior causa di “fallimento” della separazione consensuale senza avvocato, costituendo, in ogni caso, un problema ostativo anche nell’ottica dell’omologa delle separazioni consensuali, per così dire, “ordinarie”.
Tornando allo specifico scenario della separazione consensuale senza avvocato, si evidenzia che, come in ogni separazione consensuale, il giudice decide quale delle due forme di affido prediligere solo sulla base dell’interesse del minore, essendo libero di valutare caso per caso se l’affidamento dei figli a entrambi i genitori possa essere di pregiudizio o meno per il minore.
Il disaccordo che emerge prima che la separazione consensuale sia omologata (dopo esser comunque passata al vaglio del PM), con il connesso esacerbarsi degli animi in occasione della convocazione dei coniugi in Tribunale (il tutto, nel caso di specie, senza la spesso provvidenziale mediazione fornita dai legali delle parti), ha purtroppo condotto, in diversi casi di mia conoscenza, ad indurre il giudice a disporre l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, motivando il provvedimento con l’impossibilità oggettiva di addivenire ad un affidamento condiviso sulla base del contegno delle parti convocate e dei successivi approfondimenti del giudice medesimo in ordine alla situazione di fatto.
Abbiamo già evidenziato che la Legge 8 febbraio 2006, n. 54, recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, stabilisce (pur senza individuare i singoli casi) che l’affidamento esclusivo sia l’eccezione, mentre quello condiviso sia la regola da applicare alla generalità dei casi, dal momento che la disciplina dettata dagli artt. 337 bis e ss. è tesa a garantire il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori ovviamente laddove ciò risulti rispondente al suo preminente interesse, valutato avendo riguardo alle caratteristiche del caso concreto. Sulla base di tali elementi, il giudice deciderà quale delle due forme di affido prediligere. Egli è libero di valutare caso per caso se l’affidamento dei figli a entrambi i genitori possa essere di pregiudizio o meno per il minore, emettendo all’esito un provvedimento sempre motivato ove disponga l’affidamento esclusivo ad un solo genitore.
In assenza di norme specifiche che regolino la materia, dottrina e giurisprudenza hanno individuato (sulla scorta dei casi giudiziari più noti sinora verificatisi) varie ipotesi in cui non è possibile disporre l’affidamento condiviso, quali i casi di violenza sui figli o sul coniuge in presenza dei figli quando questi ne abbiano subito un trauma; la situazione di forti carenze di un genitore sul piano affettivo (ad es., non si provvede alla cura e all’educazione del figlio minore, non si versa volontariamente l’assegno di mantenimento, si fa uso di sostanze stupefacenti, si è riconosciuti incapaci d’intendere e volere, ci si rende irreperibili); la condizione per la quale il minore, ascoltato dal giudice, riesce a spiegare i motivi per i quali preferisce essere affidato ad un solo genitore; la circostanza nella quale il genitore non affidatario è rimasto assente e non si è costituito nel giudizio di separazione e pertanto, non ha rivendicato il suo diritto ad esercitare il suo ruolo genitoriale né ha chiesto l’affido condiviso. Sul punto giova richiamare quanto affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (e poi fatto proprio dalla giurisprudenza di merito, x es.  Trib. Torino, 4.4.16) che ha affermato che in materia di affidamento il giudice debba in ogni caso decidere con estrema prudenza e tenendo sempre in considerazione le peculiarità del caso concreto, evitando ad esempio di optare per l’affido condiviso e quindi di adottare provvedimenti che prescrivano visite e incontri tra genitore e minore, laddove ciò possa essere vissuto da quest’ultimo come un’imposizione contraria a quella che è la volontà manifestata dallo stesso in sede di ascolto.
Quest’ultima circostanza rappresenta, statisticamente, quella che ricorre più spesso nella fase, per così dire, “patologica” del procedimento di separazione consensuale senza avvocato nel momento in cui è necessario decidere sull’affidamento dei figli.
Fase che abbiamo definito “patologica”, poiché troppo spesso l’esito è quello di un affido non condiviso, bensì esclusivo dei figli, perché accade che il genitore che non abbia inteso contare sull’assistenza di un avvocato, magari solo per questioni economiche, non sia in grado (o semplicemente non intenda) porre rimedio alla propria situazione di degrado umano.
Si tratta, quindi, di situazioni limite, purtroppo ancora molto frequenti, in cui le negligenze di un genitore, il suo totale disinteresse verso il figlio minore – sia sul piano affettivo che dell’assistenza economica – inducono il giudice ad escludere l’affido condiviso, potendo ben prevedere i danni che ne deriverebbero ai figli se fossero affidati ad entrambi i genitori.
Giudice chiamato ad intervenire una volta resosi conto dell’inadeguatezza dell’istituto “separazione consensuale senza avvocato” a disciplinare la fattispecie concreta.
Ed allora è accaduto che, dinanzi ad un inaspettato cambiamento di atteggiamento da parte di un coniuge in sede di “separazione senza avvocato” ed alla conseguente presa d’atto da parte del giudice, sia stato assolutamente necessario che il coniuge “più ragionevole” abbia dovuto richiedere ‘assistenza tecnica di un legale al fine di ottenere un affidamento esclusivo dopo aver evidenziato indicate le ragioni che rendono incompatibile, con l’interesse del minore, l’affidamento all’altro genitore.
Di conseguenza, fallita la possibilità di separarsi senza il supporto degli avvocati, saranno questi ultimi, una volta intervenuti, a supportare il giudice, che dovrà, a seconda del caso, indicare le modalità e la frequenza del diritto di visita del genitore non affidatario e, se necessario per l’interesse e la salute psicofisica del minore, potrà anche adoperare alcune cautele, quali ad esempio la presenza di un operatore dei Servizi Sociali durante gli incontri tra il genitore non affidatario e il figlio minore.
La conclusione cui si perviene in esito al breve excursus che precede è che, nella materia familiare, la presenza di operatori qualificati (non solo avvocati) appare imprescindibile, giacchè si verte in un ambito in cui il coinvolgimento emotivo rende difficilissimo che chi ne è coinvolto possa lucidamente predisporsi alla soluzione di problemi che coinvolgono gli attori maggiormente da tutelare: i figli minori.

ANDREA PARISI                                                                                                   ELISA GALLO