A seguito dell'ormai nota riforma n. 54/2006, la disciplina dell'assegnazione della casa familiare in sede di separazione è stata inserita nel nuovo art. 155quater c.c., in base al quale il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Tuttavia è espressamente stabilito che il giudice non possa prescindere da tale assegnazione, anche in considerazione dell'eventuale titolo di proprietà della stessa (ovvero se essa sia di proprietà esclusiva del coniuge non convivente con la prole o dell'altro oppure in regime di comproprietà tra i coniugi stessi), nel regolare i rapporti economici tra i genitori. Ciò premesso, una vera novità normativa è rappresentata dal prosieguo del citato art. 155quater c.c., in base al quale il diritto al godimento della casa familiare viene meno qualora l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nell'immobile che già costituiva la residenza familiare o conviva more uxorio, quale famiglia di fatto, con altra persona, o contragga nuovo matrimonio. E' altresì chiaramente stabilito che, nel caso in cui uno dei coniugi trasferisca la propria residenza o domicilio, ove la modifica sia idonea ad incidere in maniera rilevante sulle modalità dell'affidamento, l'altro coniuge può chiedere all'autorità giudiziaria la ridefinizione dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli di natura economica. Illustrata l'attuale formulazione della normativa in materia, si rende necessario fornire qualche opportuna spiegazione. In primo luogo, preme precisare come la norma richiamata non prenda neppure in considerazione, nel disciplinare l'assegnazione della casa familiare, l'ipotesi di un procedimento di separazione in cui non vi siano figli. Sotto tale profilo, occorre pertanto continuare a fare riferimento ai princìpi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, ancor prima dell'entrata in vigore della recente riforma. All'esito di un vivace dibattito tra gli interpreti, nel quale coloro che invocavano l'assegnazione della casa familiare anche in favore del coniuge più debole, pur in assenza di figli, quale modalità di contributo al mantenimento da parte del coniuge proprietario, si scontravano con quanti ravvisavano in una simile soluzione interpretativa una violazione a tempo indeterminato del diritto costituzionalmente garantito della proprietà, divenne determinante la posizione assunta sul tema dalla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza 6 – 13 maggio 1998, n. 166, statuì che l'unica ragion d'essere di un'assegnazione della casa familiare che si discostasse dai titoli di proprietà doveva essere individuata nella tutela dell'interesse dei figli. Sulla scorta di tali conclusioni, anche i giudici della Cassazione ebbero ripetutamente modo di confermare come l'assegnazione della casa familiare non possa essere disposta semplicemente per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole (in tal senso si veda da Cass. 18 settembre 2001, n. 11696, a Cass. 2 febbraio 2006, n. 2338). In presenza di figli della coppia che abbia agito per la separazione personale, il tenore della norma in commento non lascia invece adito a dubbi, nel senso che la casa deve restare prioritariamente al servizio dei figli. Inoltre la formulazione dell'art. 155quater c.c., parlando genericamente di figli, induce a ritenere che la norma si riferisca sia ai figli minorenni, sia ai maggiorenni non economicamente autosufficienti. Tale criterio, peraltro, deve trovare applicazione anche nell'ipotesi eccezionale in cui l'autorità giudiziaria disponga l'affidamento non condiviso, bensì monogenitoriale. A questo punto appare opportuno spendere qualche parola in ordine alle ipotesi di perdita del diritto al godimento della casa familiare contemplate dal suddetto art. 155quater. In primo luogo, viene ritenuto idoneo a determinare il venir meno di tale diritto uno stabile abbandono dell'immobile da parte del coniuge assegnatario, cosicchè esso non costituisca più la residenza abituale del nucleo genitore – figli, rimanendo pertanto irrilevanti vacanze estive, sebbene prolungate, o ospitalità temporanea offerta da terzi, purchè la casa familiare continui a svolgere la funzione per la quale sia stata assegnata. Per quel che riguarda, invece, l'ipotesi della convivenza more uxorio intrattenuta dal genitore assegnatario con altra persona, essa sembra richiedere un'unione e comunione di vita del tutto analoga a quella conseguente ad un matrimonio, che sia caratterizzata anche da rapporti sessuali, nonché da un certo grado di stabilità. Nessun problema interpretativo sembra invece sorgere con riferimento all'ipotesi della celebrazione di nuove nozze da parte del genitore assegnatario, dovendosi ritenere che il diritto all'assegnazione venga meno ogniqualvolta il matrimonio sia valido e produttivo di effetti per la legge italiana. Peraltro la previsione degli ultimi due casi di perdita del diritto di godimento in questione suscita qualche perplessità, soprattutto in considerazione del prevalente interesse dei figli, che costituisce la ragione ispiratrice dell'intera disciplina, dal momento che costoro si vedrebbero privati dell'habitat domestico per effetto di un comportamento imputabile al solo genitore assegnatario, a carico del quale parrebbe più ragionevole prevedere un corrispettivo o un risarcimento di carattere economico, che non avesse però dirette ripercussioni sulla prole. Sotto tale profilo, pertanto, non si può che auspicare un intervento modificativo del legislatore o, quantomeno, un'interpretazione correttiva da parte dei giudici. In ognuna delle ipotesi prospettate, comunque, è sempre necessaria la valutazione del giudice, nel senso che l'altro genitore non può ritenere automaticamente decaduto l'assegnatario dal godimento del bene, ma deve ricorrere al giudice per far valere il proprio diritto, anche in considerazione della trascrivibilità nei pubblici registri immobiliari, ai fini dell'opponibilità ai terzi, dei provvedimenti di assegnazione della casa familiare e di revoca della stessa. Ci si limita, inoltre, a precisare che oggetto dell'assegnazione non è e non può essere l'immobile in sé e per sé considerato, spoglio di ogni arredo, bensì “quel complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l'esistenza domestica della comunità familiare” (così Cass. sent. 26 settembre 1994, n. 7865), comprensivo della normale dotazione di mobili e suppellettili per l'uso quotidiano della famiglia, sempre nell'ottica della necessaria tutela della prole. L'assegnazione, poi, non potrà che includere anche le pertinenze dell'immobile assegnato, quali garages, cantine e giardini, anche in applicazione dell'art. 818 c.c., che sancisce il principio generale, in base al quale le pertinenze, se non diversamente disposto, debbono intendersi ricomprese nelle vicende giuridiche che riguardano il bene principale. Naturalmente non potranno invece costituire oggetto di assegnazione gli effetti personali del coniuge non assegnatario, ossia oggetti di abbigliamento e di uso strettamente personale. Ancora, ove il giudice della separazione non abbia diversamente stabilito, le spese inerenti l'uso ed il godimento della casa familiare (es. condominiali, di riscaldamento, ecc.) sono da intendersi a carico del coniuge assegnatario. La giurisprudenza ha infatti unanimemente ritenuto che la gratuità dell'assegnazione dell'immobile comporti esclusivamente l'esonero del genitore assegnatario dal pagamento del canone che, in caso contrario, sarebbe tenuto a corrispondere all'altro coniuge, in qualità di comproprietario o proprietario esclusivo del bene assegnato, ma non anche dal pagamento delle spese strettamente inerenti l'uso dell'immobile stesso (cfr. in tal senso Cass. 3 giugno 1994 n. 5374). Analogamente deve ritenersi che il pagamento dell'imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), se dovuta, gravi integralmente sul coniuge assegnatario, rilevando, ai fini del presupposto d'imposta, il possesso del fabbricato. Diversamente, ove si tratti di affrontare spese condominiali di carattere straordinario, esse debbono porsi a carico del proprietario dell'immobile, anche se estromesso dal relativo godimento, in quanto generalmente volte all'esecuzione di interventi di ripristino o sostituzione di beni comuni idonei ad aumentare il valore dell'immobile. Da ultimo, occorre prendere atto della possibilità, sempre più spesso prospettata da uno o da entrambi i coniugi, di un'assegnazione frazionata della residenza familiare, sì da vivere come “separati in casa” ed evitare così i costi di una seconda soluzione abitativa. E' evidente che ogni decisione dell'autorità giudiziaria sotto tale profilo deve guardare all'interesse dei figli, cosicchè non può escludersi che una simile forma di assegnazione venga autorizzata dal giudice, sempre nell'ottica di un'agevolazione dell'affidamento condiviso, ove egli ne ravvisi l'opportunità. Peraltro va da sé che, nel caso in cui sia necessario eseguire dei lavori sull'immobile al fine di ricavare dall'unica abitazione preesistente due unità immobiliari indipendenti, il giudice non potrà ordinare il compimento di tali opere in assenza del consenso del proprietario del bene, sia esso un coniuge o un terzo. In conclusione, ci si limita qui a rammentare che la disciplina innanzi illustrata è pienamente applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, e cioè alla crisi delle famiglie di fatto.