Una recente sentenza della Cassazione 14/06/2016 n° 12218, ripropone un problema, già in precedenza affrontato dalla Corte Regolatrice, di cui spesso si discute nelle aule di giustizia nella faticosa ricerca di quei criteri per la equa determinazione, nel caso concreto, dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitata la separazione e che è privo di mezzi economici per il proprio mantenimento.
La questione è se nella determinazione dell’assegno di mantenimento possano entrare in gioco gli aiuti economici elargiti dalla famiglia di origine, nel senso della loro idoneità a neutralizzare in tutto o in parte l’obbligo di mantenimento a carico di un coniuge ed a favore dell’altro.
Orbene, è noto, sulla base dell’art. 156, 1° e 2° co., CC che tre sono i presupposti per ottenere il mantenimento in sede di separazione: 1) non addebitabilità della stessa ; 2) mancanza da parte del beneficiario di redditi propri, termine con cui il legislatore ha voluto riferirsi non solo al denaro ma anche ad ogni altra utilità, purché economicamente valutabile (v. ex multis, Cass. 6769/2007; Cass. 2445/2015), come, ad esempio, i beni immobili posseduti, sia per quanto attiene al valore implicito che essi hanno, sia con riguardo alla eventualità di un ricavato conseguente alla vendita o locazione, o come, per fare altro esempio, i crediti esigibili di cui il coniuge beneficiario sia titolare, i risparmi investiti o produttivi, la partecipazione in società, il possesso di titoli di credito, ovvero ancora lo stesso possesso della casa coniugale di cui il coniuge beneficiario possa disporre, costituendo quella che si dice una posta attiva, in quanto esonera lo stesso coniuge da esborsi di denaro per la locazione di diverso immobile dove abitare, salvo l’ipotesi in cui detto bene sia stato assegnato al coniuge stesso per la presenza di figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti e, quindi per una esigenza di protezione di detti soggetti; 3) il terzo requisito è rappresentato dalla sussistenza di una disparità economica tra i coniugi che va valutata, secondo la giurisprudenza, sulla base della disamina delle condizioni reddituali e patrimoniali del marito e  della moglie, tenendo conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Quest’ultimo elemento ha perso, negli ultimi tempi, quella centralità assegnata in ragione della necessità di assicurare un tenore di vita almeno simile  a quello goduto durante il matrimonio. Ed invero, la situazione spesso è destinata a cambiare laddove si consideri, ad esempio, che i costi per il menage familiare possono essere maggiori non cumulandosi più i redditi di entrambi i coniugi, che permettevano loro di fare una vita più agiata. Come nel caso del  coniuge il quale, dovendo lasciare la casa spesso si trova a dover sopportare spese di una certa consistenza per la locazione di una appartamento dove andare ad abitare. E, così, come nel caso della madre, collocataria dei minori,  la quale  deve sopportare i costi di  una baby sitter per la assistenza dei figli, in ragioni dei turni di lavoro  che la tengono lontana dalla abitazione, e la quale altrimenti avrebbe potuto contare sull’aiuto del marito come una più congrua organizzazione familiare permetteva quando entrambi abitavano sotto lo stesso tetto. E che dire, infine, in ordine alla possibilità che in costanza del matrimonio i coniugi conducessero una vita al di sotto delle proprie possibilità perché, ad esempio, erano stati investiti dei denari o fatti risparmi?
Recentemente, dunque, dalla giurisprudenza è stato ritenuto più corretto elaborare un diverso parametro di riferimento: “il Giudice, in primo luogo, deve accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio per poi verificare se i mezzi a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo, indipendentemente dalla percezione di detto assegno ed in caso di esito negativo, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascuno degli stessi al momento della separazione (v., ex multis, Cass. 4800/2002; Cass. 13592/2006).
In tale contesto, secondo i Supremi Giudici, indice del tenore di vita, alla cui conservazione deve tendere l’assegno di mantenimento in questione, può essere l’attuale disparità delle condizioni economiche tra coniugi (v., ad es., Cass. 23734/2012; Cass. 2961/2015).
È proprio con riferimento alla ricordata valutazione comparativa dei mezzi a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione che interviene la sentenza della Cassazione in commento. Al riguardo, deve dirsi che il riferimento contenuto nel II° comma dell’art. 156 CC (“l’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”) permette al Giudice di merito, ai fini di riconoscere e quantificare l’assegno di mantenimento:
  1. di verificare non solo le dichiarazioni Irpef, ma la concreta ed effettiva possibilità del coniuge beneficiario di svolgere un lavoro,  in rapportato all’età ed alle condizioni di mercato del luogo in cui vive, la pregressa esperienza lavorativa o professionale, le sue condizioni di salute ed il grado di istruzione (v. ad es. Cass. 15806/2008; Cass. 22752/2012; Cass. 3502/2013);
  2. i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione ancorché non incidenti sul tenore di vita in costanza di matrimonio perché intervenuti dopo (Cass. 2542/2014);
  3. la possibilità che uno dei coniugi venga ospitato gratuitamente presso una abitazioni altrui (Cass. 2187/2013)
  4. la durata del matrimonio (Cass. 25618/2007).
Nella valutazione comparativa in questione, non possono considerarsi le elargizioni periodiche che il coniuge beneficiario percepisca dalla famiglia di origine, specie quando tale aiuto si sia reso necessario della esiguità del reddito del beneficiario. È questo il principio affermato nella sintetica ma chiara decisione che, invero, ribadisce quanto in precedenza osservato dalla stessa S.C.. Il riferimento operato nella pronuncia e rappresentato dal precedente  della Cass. 13/03/2009 n° 6200: ma altre volte i Giudici di Palazzo Cavour si sono espressi nel senso di escludere tali liberalità da detto calcolo, citandosi  Cass. 30/03/2005 n° 6712 ma anche Cass. 10380/2012 , nochè Cass. 14/081997 n° 7630, che sottolinea come il loro carattere impedisca di considerarle “reddito”.
Luglio 2016 - avv. Antonio Arseni