Quest’oggi affrontiamo una problematica spesso trascurata inerente a ciò che avviene tra le “intime” mura domestiche, ovvero quando si giunge a far uso della forza per imporre alla moglie rapporti sessuali.

In molti casi, questa spiacevole situazione viene vista quasi come un problema di coppia e non tanto quale forma di imposizione che può sfociare in una fattispecie delittuosa.

Nulla di più sbagliato!

A tal proposito, la Cassazione è intervenuta su una vicenda passata, dapprima, per la Corte di Appello di Milano con sentenza emessa il 26/05/010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pavia, in data 04/02/09 – appellata sia dal PM che dall’imputato – che aveva condannato l’imputato di reati di violenza sessuale, lesioni ed altro, alla pena di anni quattro di reclusione - in accoglimento dell'impugnazione del PM, ritenuta l'equivalenza delle concesse attenuanti generiche sulla contestata aggravante, rideterminava la pena inflitta a C.G. in anni sei di reclusione.

L'interessato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

In particolare il ricorrente, sia quanto al rigetto del proprio appello, sia per l'aumento della pena determinata in accoglimento dell'Appello del PM, esponeva che la sentenza impugnata non era congruamente motivata.

Trattavasi, invero, secondo la difesa dell’imputato di condotte sessuali consenzienti consumate nell'ambito del rapporto coniugale che lo univa alla parte offesa. Quasi a dire che, dal momento che esiste un vincolo coniugale, il marito può pretendere sempre, a suo piacimento, anche mediante l’uso della forza, che la moglie soddisfi le proprie pulsioni sessuali.

La Suprema Corte, con sentenza del 22 luglio 2011, riteneva però essere infondate le doglianze esposte dall’imputato perché in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dai giudici di merito.

In particolare va disatteso - in riferimento agli episodi di violenza sessuale - l'assunto difensivo principale secondo cui si sarebbe trattato di rapporti sessuali consenzienti tra i due coniugi.

Risultava accertato, invece, che – in relazione agli abusi sessuali per cui vi è stata condanna – si trattava di rapporti sessuali imposti con violenza alla moglie contro la sua esplicita e manifesta volontà. Condotte - quelle perpetrate dall’imputato - che integrano, senza ombra di dubbio gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo, del reato di violenza sessuale, ex art. 609 bis c.p. .

Parimenti vanno disattese le censure attinenti al trattamento sanzionatorio.

Al riguardo la Corte Territoriale ha indicato con precisione le ragioni ostative sia all'applicazione dell'attenuante del fatto di minore gravità, ex art. 609 bis, 3 comma cp; sia al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, ed ossia: la rilevante gravità dei fatti in esame, la reiterazione delle condotte illecite, protrattasi per anni, commesse in contesto di costanti episodi di aggressione, umiliazione, di paura in cui versava la donna, con grave turbamento psichico patito dalla stessa.

Alla luce di tali valutazioni la Corte di Cassazione ha, dunque, ribadito la gravità di tali condotte e confermato la sentenza a carico dell’imputato, significando che non perché si tratti della moglie il marito può pretendere rapporti sessuali contro la di lei volontà, magari adoperando la violenza per ottenere tale risultato.

Ogni soggetto merita sempre e comunque rispetto riguardo alle proprie determinazioni e, quindi, indipendentemente dal contesto nel quale si verifica, nessun comportamento violento ed impositivo può essere giustificato innanzi alla legge.