A seguito di incidente stradale, in cui due auto entravano in collisione lungo la linea di mezzeria, uno dei conducenti decedeva, mentre l'altra veniva imputata per omicido colposo. Tempestivamente veniva redatta una consulenza tecnica di parte per accertare la responsabilità della conducente, circa una condotta negligente o imprudente durante al guida.   
  L'esito della consulenza imponeva alla difesa dell'imputata di concordare la pena con il PM perchè era stato riconosciuto un concorso di colpa dell'imputata. Il GIP emetteva la sentenza di patteggiamento, ed applicava la pena minima concordata con il PM, mentre irrogava la sospensione della patente in una misura prossima al massimo, fissandola in 3 anni.
   La difesa ricorreva in Cassazione lamentando un errore logico nonché una mancanza di motivazione, perchè a fronte del minimo della sanzione penale, il Giudice condannava la sfortunata automobilista a 3 anni di mezzi pubblici o richiesta di passaggi in auto. Peraltro, la ricorrente è madre di 3 bambini molto piccoli, residente in zona rurale senza servizi di collegamento. La Corte di Cassazione ha annullato la  sentenza di patteggiamento, ritenendo la condanna alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente non adeguata al caso perché troppo severa.
    L’art. 222 del Codice della Strada stabilisce che se dal sinistro deriva un omicidio colposo, la patente di guida può essere sospesa fino a 4 anni. Tuttavia, la stessa norma statuisce che per le ipotesi di patteggiamento per reati connessi alla circolazione stradale “la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente fino a quattro anni è diminuita fino a un terzo”  (art. 222 co. 2 bis).
    Ebbene, sulla base di questi riferimenti normativi, la Suprema Corte ha accolto le argomentazioni della difesa. In particolare, il GIP non aveva dato alcuna motivazione della determinazione della pena accessoria prossima al massimo, nonostante avesse accolto l’accordo sul minimo della sanzione penale tramite il patteggiamento. Questa omissione ha determinato un vizio della sentenza, perché  “il giudice deve fornire una motivazione sul punto, con riferimento ai parametri dall’art. 218 CDS comma 2, allorchè la sanzione applicata si allontani sensibilmente dal minimo edittale, dovendo in tale caso rendere esplicite le ragioni che hanno sorretto la valutazione discrezionale che gli compete al riguardo”.
    La sentenza è stata annullata dalla Suprema Corte e la vicenda è stata di nuovo sottoposta all’attenzione del GIP, che dovrà rideterminato la sospensione della patente considerando il principio sancito dalla Cassazione. Fino a quel momento, la ricorrente potrà guidare la propria auto e provvedere alle esigenze dei suoi figli.