L’appalto si incasella nei contratti realizzanti un do ut facias: ad una prestazione di dare è corrispettiva una prestazione di fare. A mezzo del contratto di appalto, un contraente (committente) affida all’altro contraente (appaltatore) il compimento di un opera ovvero di un servizio verso un corrispettivo in danaro (art. 1655 c.c.). L’appaltatore darà seguito all’incarico ricevuto organizzando da sé i mezzi necessari e “con gestione a proprio rischio”. La prestazione del bene o del servizio da parte di tal’ultimo contraente avviene a suo rischio.

L’appalto è a dirsi pubblico ove l’aggiudicazione della gara intesa alla selezione dell’appaltatore dipenda da un “organismo di diritto pubblico”; privato nei residui casi.

Vediamo più da presso le obbligazioni scaturenti in capo ai due contraenti. Le obbligazioni del soggetto appaltatore sono così compendiabili: a) compiere l’opera direttamente senza ricorrere al sub-appalto (a meno di essere a ciò facoltizzati dal committente); b) assumere i rischi relativi alla esecuzione dell’opera; c) realizzare l’opera a regola d’arte, nel termine ed al prezzo convenuto; d) garantire l'opera da eventuali vizi e difformità a mente dell'articolo 1667 cod. civ., procurando, su richiesta del committente, che i medesimi siano eliminati, o che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, ovvero che il contratto sia risolto ove i vizi rendano l'opera in toto incongrua rispetto alla sua destinazione; e) invitare il committente, una volta compiuta l'opera, a collaudarla, vale a dire a verificarne l'avvenuta esecuzione regola d'arte, per poi, una volta che essa sia stata accettata dal committente, pretenderne il corrispettivo pattuito. Più scarne quantitativamente le obbligazioni gravanti sul committente: pagare il prezzo convenuto, globalmente (a forfait) ovvero a misura (tanto a metro quadrato o cubo), ed eseguire il collaudo dell'opera non appena ricevuto l'invito alla verifica da parte dell'appaltatore, senza ritardo pena la tacita accettazione dell'opera medesima.

Ambedue le parti potranno chiedere da revisione del prezzo in caso di verificazione di circostanze imprevedibili, quali sensibili variazioni nel costo dei materiali o della manodopera incidenti per una misura superiore al decimo del prezzo complessivamente convenuto (art. 1664, comma I cod. civ.). Unicamente per la parte eccedente tale decimo sarà accordata da revisione del prezzo. In favore dell'appaltatore è previsto un diritto ad un equo compenso ove in corso d'opera si appalesino difficoltà impreviste di esecuzione ascrivibili a cause geologiche, idriche o similari (art. 1664, comma II cod. civ.). Nondimeno, al di là di tali garanzie ex lege relative alla variazione dei prezzi, è assai frequente che i contratti di appalto rechino clausole convenzionali di revisione dei prezzi.

È posta a beneficio del committente la sua facoltà di recesso dal contratto, ancorché in assenza di ragionevoli motivi, purché tenga indenne l'appaltatore dalle spese fino a quel momento sostenute nonché dai mancati guadagni.

Sottile è la differenza che corre tra l'appalto e la vendita di cosa futura giacché nella prima specie contrattuale l'appaltatore si impegna ad un facere, diversamente dalla vendita ove il venditore si impegna ad un dare. Come qualificare l'accordo contrattuale in virtù del quale una parte si impegnia a realizzare un oggetto conforme ad un tipo ovvero a un modello di propria fabbricazione? Orbene, in giurisprudenza il quesito viene risolto nel senso della configurazione di un contratto di vendita di cosa futura, essendo d’uopo, ai fini della integrazione degli estremi del contratto di appalto, che l'opera presenti un aliquid novi rispetto al modello o al tipo messo in produzione.

Perno centrale dell'impianto del contratto di appalto è costituito dal progetto. Esso è procurato dal committente e deve soddisfare requisiti di sufficiente dettaglio, anche preordinati al vaglio della esecuzione regola d'arte dell'opera ex art. 1660 cod. civ.

Alcune brevi note si vogliono ora riservare al tema più specifico del nostro approfondimento, teso a esplorare le garanzie dell'appaltatore. Egli - si diceva dianzi - garantisce il committente per eventuali difformità o vizi dell'opera. Tuttavia, l'articolo 1667, comma 1, cod. civ. ha cura di specificare il venir meno di tale garanzia in caso di accettazione dell'opera da parte del committente ove i vizi e le difformità fossero da lui conosciute o riconoscibili. Ove non si versi in tale caso, il committente è onerato di denunciare difformità o vizi entro sessanta giorni dalla scoperta, a termini dell'articolo 1667, comma 2, cod. civ. Posta in essere la denuncia, sono costituiti in capo al committente i diritti di pretendere l'eliminazione delle difformità o dei vizi a spese dell'appaltatore o, alternativamente, di ottenere la proporzionale riduzione del prezzo concordato (art. 1668, comma 1, cod. civ.). Qualora i vizi in discorso siano tali da rendere l’opera del tutto insuscettibile di utilizzazione ed incongrua rispetto alla sua destinazione, è in facoltà del committente di chiedere la risoluzione contrattuale (comma 2 della disposizione da ultimo citata). In ogni caso, il committente potrà esperire azione giudiziaria contro l’appaltatore entro il termine di prescrizione di due anni dal giorno della consegna dell’opera (art. 1667, comma 3, cod. civ.).

L’art. 1669 cod. civ., in rapporto di specialità rispetto alle disposizioni di legge appena scrutinate, ha riguardo all’appalto di edifici o cose immobili destinate a una lunga durata. In tali casi, ove si manifesti una rovina totale o parziale dell’opera in dipendenza di vizi del suolo o difetti di costruzione o comunque altri gravi difetti, la responsabilità dell’appaltatore si estende temporalmente a dieci anni dal compimento dell’opera, a condizione che il vizio o il difetto sia stato denunciato entro un anno dalla scoperta.

L’appaltatore è responsabile, non soltanto verso il committente per vizi e difformità dell’opus, ma altresì verso i terzi danneggiati dalla esecuzione dell’opera ex art. 1655 cod. civ. Non è applicabile, difatti, alla fattispecie di danno cagionato dall’appaltatore ad un terzo, l’art. 2049 cod. civ., alla stregua del quale il c.d. preponente (esemplificativamente, il datore di lavoro) risponde per i danni cagionati dai propri preposti (in linea d’esempio, i lavoratori dipendenti) nell’esercizio delle incombenze loro affidate. Una tale responsabilità c.d. oggettiva, informata al canone giuridico cuius commoda eius et incommoda, non trova spazio nel caso dell’appalto in ragione della “autonomia dell’appaltatore, il quale esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta, con propria organizzazione ed apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera” (Cassazione n.10652 del 1997). Autonomia, la quale “esclude ogni rapporto istitutorio tra committente ed appaltatore” (ibidem).

Sicché “l'autonomia dell'appaltatore il quale esplica la sua attività nell'esecuzione dell'opera assunta con propria organizzazione apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, l'appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera. Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ. dal precetto di «neminem laedere», ovvero in caso di riferibilità dell'evento al committente stesso per «culpa in eligendo» per essere stata affidata l'opera ad un'impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l'appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale «nudus minister» attuandone specifiche direttive” (Cassazione, n. 11478 del 2004).