I conviventi more uxorio possono porre validamente in essere regolamenti contrattuali attinenti ai rapporti di contenuto economico tra loro intercorrenti? In altri termini, hanno cittadinanza nel nostro ordinamento contratti tra soggetti che compongono la cosiddetta famiglia di fatto e relativi al regime patrimoniale dei conviventi? Invero, vi sono dei margini di autonomia contrattuale che l'ordinamento riconosce a tali soggetti. Certo costoro non potranno dar vita al regime di comunione legale, il quale resterà riservato ai coniugi, e neppure istituire una clausola penale in caso di interruzione o scioglimento della convivenza imputabile ad uno dei due soggetti. Resta dubbio, difatti, che le parti possano obbligarsi a convivere e che la trasgressione di un tale obbligo possa dar vita ad un inadempimento foriero di danni a carico del soggetto non inadempiente. A quali pattuizioni, dunque, possono porre mano i conviventi? Quali obblighi reciproci essi possono istituire?

Mentre si nega in linea di regola la possibilità a costoro di dar vita a quelle situazioni giuridiche soggettive che caratterizzano il cosiddetto regime personale dei coniugi (obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia, alla coabitazione e alla contribuzione ai bisogni della famiglia), si concede una deroga in ordine all'obbligo di assistenza materiale.

Nel nostro ordinamento - come è noto - dalla violazione delle obbligazioni naturali non scaturisce un obbligo a risarcire il danno a colui che lo ha subito; nondimeno, un tale obbligo all'assistenza materiale avrebbe la sua causa giustificativa e contrattuale nell'accordo sinallagmatico tra i conviventi. Difatti, la giustificazione di siffatto accordo, la sua funzione economico-sociale troverebbe radice nel bisogno alimentare e di sostentamento della persona. Trattandosi di un contratto atipico o innominato, perché il contratto di convivenza riceva tutela giuridica, esso deve soddisfare di requisito apprestato del secondo comma dell'art. 1322 del codice civile, cioè a dire esso deve essere "diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico". Orbene, nello specifico, tale interesse si scorge, non soltanto nel bisogno alimentare subordinato allo stato di bisogno dell’un convivente e alla capienza patrimoniale dell'altro, ma altresì nel diritto alla casa quale bisogno imprescindibile della persona, provvisto di tutela costituzionale. Tanto asserito, ben si comprende come il contratto di convivenza sia abilitato (dalla dottrina) a disciplinare altresì le attribuzioni di diritti reali o personali di godimento su beni immobili per uso di abitazione. Ancora per i medesimi motivi si giustificano, all'interno dei contratti in parola, disposizioni sulla ripartizione degli oneri della convivenza.

Qualora un convivente voglia assicurare all'altro una rendita a tempo determinato o vitalizia può perseguire tale scopo mediante una donazione per atto pubblico.

Tuttavia l'ordinamento giuridico italiano non si è preoccupato di disciplinare la materia dei patti civili tra conviventi e la ammissibilità di una tale regolamentazione contrattuale non è che ventilata dalla dottrina e ammessa con certi limiti dalla giurisprudenza. In Francia già dal 1999 sono in vigore il cosiddetto pacte civil de solidaritè e il concubinage, mediante i quali i conviventi sono facoltizzati ad assumere addirittura tutte le situazioni giuridiche attive passive che connotano il rapporto di coniugio.

Giova, in ogni caso, rammentare che sul piano normativo si registrano una serie di interventi non sistematici in materia di convivenza e che mettere capo ad una stabile convivenza tra soggetti non uniti in matrimonio sortisce effetti giuridici che brevemente si rassegnano. Dacché la famiglia di fatto pur costituisce una "formazione sociale” riconosciuta e tutelata dall'articolo 2 della Costituzione, ad essa si riannodano taluni effetti giuridici. Peraltro, il convivente more uxorio:

-          subentra nel contratto di locazione intestato all'altro convivente in caso di morte di quest'ultimo;

-          acquista il diritto alla tutela possessoria della casa nella quale convive;

-          diviene il titolare del diritto risarcimento del danno in caso di uccisione del convivente;

-          ha accesso alla procreazione medicalmente assistita;

-          se il proprio partner è imputato in un processo penale può astenersi dal testimoniare;

-          può richiedere la amministrazione di sostegno a beneficio del partner;

-          può esercitare tutte le tutele predisposte dal codice civile in caso di violenza nelle relazioni familiari.

Resta inteso che, ove i conviventi non abbiano sottoscritto alcun contratto di convivenza, l’erogazione di mezzi economici compiute dall'uno verso l'altro partner sono da tenersi per adempimenti di obbligazioni naturali, e come tali soggiacenti ex art.2034 cod.civ. alla regola della incoercibilità dell'obbligo e a quella della soluti retentio, onde il destinatario della prestazione effettuata in suo favore in adempimento dell'obbligazione naturale non è obbligato a restituirla. Resta altresì sotteso il rilievo per cui la mera realizzazione di una convivenza non mette capo - per ciò stesso - ad alcun dovere né personale né patrimoniale tra i conviventi, né tantomeno a scambievoli obblighi di mantenimento.

Data la scabrosità giuridica della materia è altamente auspicabile che la redazione dei contratti di convivenza sia affidata a professionisti forensi operanti nel settore del diritto familiare anziché alle parti direttamente.