La Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite, con la  sentenza n. 27346 del 24.12.2009, ha stabilito una serie di principi giuridici in materia di risarcimento danni alle società per fatto illecito di un terzo, nonchè di liquidazione coatta amministrativa e di diritto processuale.
La sentenza è alquanto chilometrica (ben 62 pagine), ma molto interessante.
Partiamo dalla vicenda oggetto della decisione della Suprema Corte di legittimità.
Una  nota compagnia assicurativa citava in giudizio una società di revisione contabile, chiedendo – previa risoluzione per inadempimento del contratto intercorrente tra le due società e avente ad oggetto la certificazione del bilancio - il risarcimento dei danni.
Successivamente, la medesima Compagnia assicurativa citava nuovamente in giudizio la società di revisione contabile, chiedendo il risarcimento dei danni per l'anomala divergenza tra la valutazione espressa dalla convenuta nella relazione negativa della certificazione del bilancio inviata al collegio sindacale e quella in effetti congrua.
Si costituiva in entrambi i giudizi - che venivano riuniti - la società convenuta, resistendo e spiegando domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva, quanto alla prima causa, la condanna dell'attrice al pagamento del compenso pattuito e delle maggiori somme per il maggiore impegno resosi necessario; quanto alla seconda causa, chiedeva la condanna dell'attrice ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civile (responsabilità aggravata).
Nelle more del giudizio, si costituiva (OMISSIS) nella qualità di socia della Compagnia assicuratrice - lamentando di aver subito danni alla quota partecipativa e all'immagine a causa della condotta della convenuta -; nella medesima udienza, il procuratore della Società attrice dichiarava che la stessa era stata posta in liquidazione coatta amministrativa.
Pertanto, il processo veniva interrotto e riassunto, e in quella sede si costituiva in giudizio il Commissario liquidatore della società in liquidazione coatta amministrativa, il quale chiedeva, principalmente, acccertarsi la carenza di legittimazione attiva della parte riassumente e, di conseguenza, dichiararsi l'estinzione del processo; in subordine, chiedeva accogliersi le domande formulate dalla società "in bonis".
Nel corso del giudizio veniva emessa la sentenza della Corte di Cassazione civile, a Sezioni Unite, con la quale veniva dichiarato giuridicamente inesistente il Provvedimento di messa in liquidazione della Compagnia assicuratrice istante.
Pertanto, quest'ultima eccepiva la carenza di legittimazione degli organi della procedura a rappresentare la società.
Dal canto loro, la società convenuta e il commissario liquidatore della Compagnia assicuratrice chiedevano accertarsi l'inammissibilità della costituzione dell'amministratore delegato della società "in bonis".
Quest'ultima domanda veniva accolta con sentenza non definitiva dal Giudice di primo grado - il quale, tuttavia, rigettava la richiesta di estinzione del processo e le domande risarcitorie -, che rimetteva le parti davanti a sè per il giudizio definitivo.
Avverso il provvedimento suindicato proponevano appello l'amministratore delegato della s.p.a. in bonis, nonché le altre parti processuali (veniva anche proposto appello incidentale), ma la Corte d'Appello respingeva le impugnazioni e confermava la sentenza di primo grado.
Avverso tale ultimo provvedimento proponevano ricorso per Cassazione la s.p.a. in bonis e la società di revisione contabile, mentre resisteva con controricorso il commissario liquidatore.
Le parti ricorrenti depositavano documentazione tesa a comprovare il formarsi di un giudicato in merito al difetto di legittimazione dgli organi della procedura concorsuale.
Tutte le parti costituite depositavano memorie.
La prima sezione civile della Corte di Cassazione rimetteva gli atti al Primo Presidente con ordinanza al fine dell'assegnazione alle Sezioni Unite per la risoluzione dei contrasti giurisprudenziali rilevati.
Le Sezioni Unite osservano, preliminarmente, quanto segue:
in base alle decisioni richiamate dalle parti ricorrenti, non risulta esserci formato un giudicato circa la giuridica inesistenza del provvedimento di messa in liquidazione coatta della Compgania Assicuratrice, poichè nei relativi giudizi erano presenti solo alcune delle parti del presente giudizio, ognuna con con petitum e cause petendae diversi; inoltre, nessuna delle decioni richiamate ha affermato che il provvedimento di liquidazione e di nomina del liquidatore possa essere considerato giuridicamente irrilevanete e privo di effetti giuridici.
Infatti, le decisioni richiamate - pur ritenendo che il decreto di apertura della procedura di l.c.a. possa essere disapplicato in via incidentale - hanno sostenuto che la disapplicazione del decreto non incide sulla legittimazione passiva del commissario liquidatore in ordine ai giudizi di cui all'art. 207 della legge fallimentare e alle pretese di cui al successivo art.208.
Nelle suindicate decisioni si legge che solo una sentenza di accertamento definitivo della giuridica inesitenza del provvedimento di apetura della procedura di l.c.a. - su cui si formi il giudicato valevole "erga omnes" - potrà incidere in futuro sui poteri conferiti con la nomina al commissario liquidatore e, dunque, sulla legittimazione attiva e passiva di quest'ultimo in relazione ai beni oggetto della procedura.
Richiamate le norme della legge fallimentare relative all'apertura delle procedure concorsuali e all'eventuale revoca nel corso delle procedure medesime, gli ermellini osservano che "nella procedura fallimentare vige un "principio di conservazione" secondo il quale, una volta che a seguito di un provvedimento formalmente idoneo la procedura sia stata aperta, finchè l'accertamento della mancanza delle condizioni per la sua apertura non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, gli organi della procedura, investiti "ex lege" della capacità processuale e della legittimazione attiva e passiva in relazione ai beni e rapporti che ne formano oggetto, si considerano validamente operanti sul piano processuale...Detto "principio di conservazione della procedura", formandosi su esigenze di certezza giuridica comuni a tutte le procedure concorsuali, deve ritenersi applicabile - nei limiti di compatibilità - anche alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, che avendo in comune con il fallimento le finalità liquidatorie... determina a carico dell'impresa una situazione per molti versi analoga alla dichiarazione di fallimento...".
La Suprema Corte affronta, infine, la problematica sollevata nel corso del procedimento e alla base dell'ordinanza di rimessione del ricorso alle sezioni unite, provvedimento con il quale è stata segnalata l'esistenza di due contrastanti indirizzi giurisprudenziali in merito alla legittimazione del socio di società di capitali "ad agire nei confronti del terzo per far valere fatti illeciti incidenti sul mantenimento in vita della società, o che possano comportare un depauperamento del patrimonio sociale suscettibile di risolversi nella diminuzione del valore dei diritti di partecipazione all'ente societario".
In proposito, infatti, vi è l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, a norma del quale la partecipazione sociale in una società di capitali - pur attribuendo diritti e poteri - costituisce un bene distinto dal patrimonio sociale; pertanto, il socio può agire direttamente solo nei confronti della società,a tutela del proprio interesse a preservare il patrimonio sociale limitatamente ai propri rapporti interni e solo in alcuni casi, mentre - nell'ipotesi di fatti illeciti commessi nei confronti della società - il pregiudizio che deriva al socio è indiretto, per cui il diritto al risarcimento spetta solo alla società.
In contrasto con tale orientamento vi è quello - espresso per la prima volta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 11059 del 1995 e successivamente confermato, tra le altre, dalla sentenza n. 17938 del 2005 - che ha riconosciuto all'interesse patrimoniale del socio, mediato da quello della società, rango di interesse direttamente protetto.
Infine, gli ermellini hanno esaminato la questione sollevata con il quarto motivo di ricorso, ovvero la presunta violazione e falsa applicazione degli artt.91, 92 e 112 c.p.c. in relazione alla statuizione sulle spese contenute nella sentenza impugnata, atteso che il carattere non definitivo della sentenza non poteva comportare la liquidazione delle spese.
In conclusione, la Suprema Corte di legittimità ha ritenuto di risolvere i sopra richiamati contrasti giurisprudenziali con i seguenti principi di diritto:
1) "Le esigenze di certezza giuridica, espresse nel principio di conservazione delle procedure concorsuali ricavabile dall'art. 21 l.f. ed estensibile nei limiti di compatibilità alla procedura di liquidazione coatta amministrativa comportano che, in relazione alla
costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, l'apertura della procedura - con la conseguente nomina dei suoi organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la loro immissione nel possesso e nella gestione del patrimonio - costituisce un "fatto giuridico" di per sè idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore, in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del provvedimento, finchè esso non venga rimosso dalla stessa amministrazione, ovvero annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente, con provvedimento giurisdizionale a ciò idoneo che renda non più proseguibile la procedura, il quale avrà effetto ex nunc";
2) "In seguito all'apertura della procedura, in relazione ai rapporti patrimoniali in essa compresi, sussiste una legittimazione processuale del fallito e dei soggetti sottoposti a liquidazione coatta amministrativa suppletiva, in deroga alla legittimazione esclusiva degli organi della procedura, in relazione a detti rapporti, nel solo caso d'inattività e disinteresse di questi, mentre ove riguardo al rapporto in questione essi si siano attivati, detta legittimazione suppletiva non sussiste e la sua carenza può essere rilevata d'ufficio";
3) "Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorchè tale danno possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio della partecipazione sociale, nonchè sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non già anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio e obbliga il responsabile a risarcirle il danno, costituendo l'incidenza negativa sui diritti del socio nascenti dalla partecipazione sociale un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito";
4) "Quando un processo con pluralità di parti in primo grado la causa sia stata rimessa al collegio ai sensi dell'art. 187, per la decisione di questioni che avrebbero potuto definire il giudizio e il giudizio sia stato poi definito nei confronti solo di una o di alcune parti, anche se non di tutte, deve provvedersi sulle spese giudiziali in relazione alle parti per le quali il giudizio è stato definito".


Roma, 15.02.2010                                                      Avv. Daniela Conte