Il contratto di credito al consumo, come è noto, viene in essere quando un soggetto consumatore contrae un prestito allo scopo espresso, noto a tutte le parti, di effettuare  un acquisto o di ottenere l’erogazione di un servizio, ciò al punto che il finanziamento medesimo viene direttamente erogato in favore della parte venditrice o fornitrice del servizio.
            In tali casi, quindi, la destinazione del finanziamento viene ad essere parte integrante dello schema causale del negozio, con la conseguenza che, in caso di risoluzione del contratto di vendita (o di fornitura di servizio di qualsiasi genere) il finanziatore non ha titolo per richiedere la restituzione del prestito al formale debitore (l’acquirente o colui che ha richiesto il servizio), ed è invece legittimata e tenuta a richiedere il pagamento direttamente al soggetto che ha materialmente usufruito del finanziamento stesso.
            Tale assetto, oltre ad essere esplicitamente descritto dalla normativa relativa al credito al consumo, è riconosciuto anche dalla giurisprudenza in tutti i casi nei quali sia configurabile il rapporto trilaterale del mutuo di scopo.
            Ed infatti, come conferma la Giurisprudenza di legittimità, “Nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore. Cassazione civile, sez. III, 16/02/2010, n. 3589;”, tale orientamento, peraltro, è pedissequamente seguito di giudici di merito, tra i quali si cita da ultimo, tra le molteplici conformi, Tribunale Rovigo, 10/03/2011, n. 26, secondo la quale, “nell'ipotesi di contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra gli anzidetti contratti, per cui il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene, che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo, legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore”.
            Tanto premesso, si è posto il problema dell’interpretazione da fornire alla clausola di esclusiva tra finanziatore e venditore richiesta, sino alla novella del 2010, dagli artt. 42 Codice del Consumo e 121 e ss. TUB.
            Sul punto, come hanno rilevato la maggior parte delle corti di merito, gioverà osservare che, con la direttiva n.2008/48/CE del 22 maggio 2008 è stato approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo il testo relativo ai “contratti di credito ai consumatori”, testo che ha abrogato la direttiva 87/102/CEE, dando termine agli stati membri fino al 12 maggio 2010 per il recepimento.
            Tale direttiva si applica a tutti i contratti nei quali un “creditore” concede o si impegna a concedere ad un “consumatore” “un credito sotto forma di dilazione di pagamento, prestito o altra agevolazione finanziaria analoga.
            Orbene, in applicazione di detta direttiva, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che, in base ad una corretta interpretazione dell’art. 42 Codice del Consumo nella sua formulazione ante novella, non è indispensabile che tra finanziatore e venditore sussista una clausola di esclusiva affinché il consumatore possa esercitare il diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento e alla restituzione delle rate versate. “L’art. 11, n.2 della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella della causa principale (totalmente analoga a quella in oggetto) l’esistenza di un accordo tra il creditore e il fornitore, sulla base del quale un credito è concesso ai clienti di detto fornitore esclusivamente da quel creditore, non è un presupposto necessario del diritto di tali clienti di procedere contro il creditore in caso di inadempimento delle obbligazioni che che incombono al fornitore al fine di ottenere la risoluzione del contratto di credito e la conseguente restituzione delle somme corrisposte al finanziatore” Corte di Giustizia dell’Unione Europea 509/07 del 23 aprile 2009. 
            Nella menzionata pronunzia, la Corte Europea ha evidenziato, come peraltro già anticipato nella pronunzia 23 aprile 2009, causa Scarpelli C – 509/07, che il consumatore, certamente parte più debole del contratto, il più delle volte vede preclusa ogni possibilità di intervento modificativo sul testo degli accordi negoziali ed è, del pari, spesso nell’impossibilità di accertare l’eventuale sussistenza di un accordo di esclusiva tra finanziatore e venditore.
            Pertanto, nel condivisibile ragionamento della Corte, subordinare l’esercizio del diritto del consumatore a procedere contro il finanziatore all’esistenza di un rapporto di esclusiva tra quest’ultimo e il venditore, contrasta platealmente con lo scopo di tutela proprio delle normative in questione, ciò a maggior ragione ove si evidenzi che, soprattutto nelle grandi catene di distribuzione, sarebbe sufficiente che due finanziatori istituzionali si accordassero per stipulare congiuntamente convenzioni con i venditori per rendere totalmente impossibile la stessa possibilità teorica di verificazione di una esclusiva.
            Alla luce di tali argomentazioni, la Corte ha concluso affermando che l’esistenza o meno di un esclusiva non può in alcun modo limitare il diritto del consumatore ad agire nei confronti del finanziatore in caso di inadempienza del fornitore.
                        Su tale orientamento, peraltro, pare oramai orientata anche la Giurisprudenza italiana sia di legittimità che di merito, si vedano in particolare, Tribunale Cagliari, 11/11/2007, Tribunale Frosinone, Ordinanza n. 1307 dell’1.6.2012, Tribunale di Frosinone, Ordinanza n. 1513 del 27 giugno 2012, Cass. n. 16013 del 7 luglio 2010, Cass. n.21904 del 15 ottobre 2009;  
            Queste essendo le direttive ermeneutiche della Corte Europea, e stante l’obbligo per il Giudice nazionale di interpretare e applicare i principi di diritto interno in maniera conforme a quanto prescritto dalle direttive comunitarie anche in pendenza di recepimento delle stesse, è evidente che dovrà concludersi per la pacifica azionabilità del rimedio in questione anche per i contratti di compravendita e/o di prestazione di servizi con creidito al consumo stipulati ante 2010.
Avv. Marco Necci