Occorre in primo luogo distinguere 3 tipologie di accompagnatore:
  1. l’accompagnatore è un semplice amico appassionato di camminate in natura e dunque un soggetto non qualificato;
  2. l’accompagnatore è un AEV (accompagnatore escursionistico volontario);
  3. l’accompagnatore è una GAE (guida ambientale escursionistica) o altra figura qualificata, cioè un professionista del settore.
Queste tre tipologie di accompagnatore hanno tutte in comune un principio cardine del diritto civile che è quello dell’affidamento da parte delle persone accompagnate. Con ciò si intende la fiducia che il gruppo ripone nell’accompagnatore, che in tutte le categorie sopra elencate avrà una competenza ed esperienza superiore alla loro; ciò perché ad es. conosce il sentiero e i suoi rischi, ha capacità tecniche superiori a quelle dei partecipanti ed assume la direzione dell’escursione. Pertanto, il gruppo che aderisce all’escursione si affida all’accompagnatore che si deve adoperare per garantire la loro sicurezza.
Dunque dall’affidamento del gruppo e dalla presa in carico dello stesso derivano le responsabilità civili e penali dell’accompagnatore. Inoltre a seconda del tipo di accompagnatore (amico, AEV o GAE) varierà il grado di responsabilità allo stesso attribuito.
Il principio di affidamento serve pertanto per tutelare il soggetto più debole, che in questo rapporto è l’accompagnato. Il livello di affidamento e del relativo dovere di protezione dipende da una serie di variabili: tra queste la qualifica dell’accompagnatore, il grado di difficoltà dell’escursione, il divario tra la capacità dell’accompagnatore e quella dell’accompagnato, la capacità dell’accompagnato di affrontare da solo l’escursione. Maggiore è l’affidamento dell’accompagnato, maggiore sarà il rigore con cui viene valutata la responsabilità dell’accompagnatore.
Il corrispettivo di tale principio però è la subordinazione dell’accompagnato che deve rispettare le indicazioni della guida.
In linea generale si può dire che l’accompagnatore risponde per i danni derivanti da incidenti dovuti a eventi naturali se e nella misura in cui erano ragionevolmente prevedibili, a causa delle condizioni esterne o a causa dell’inadeguatezza delle capacità dell’accompagnato rispetto al percorso scelto. La responsabilità del primo, come già anticipato, potrà essere valutata con rigore tanto maggiore quanto maggiore è l’affidamento creato nell’accompagnato. Concretamente, nel caso in cui durante una gita si verifichi un incidente, la responsabilità dell’accompagnatore può derivare da un errore nella fase di organizzazione della gita (la scelta dell’itinerario da seguire, le capacità dell’accompagnato rispetto alla difficoltà della gita, l’analisi delle condizioni meteorologiche), oppure nella fase di svolgimento della stessa (errori di tipo tecnico compiuti durante la gita).
Si configura in genere per le attività escursionistiche una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. (“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”). Questo tipo di responsabilità prevede un onere della prova impegnativo per il danneggiato, poiché oltre a provare il danno e l’evento deve provare il nesso causale che li lega. In tali casi opera un termine di prescrizione di 5 anni.
Per l’accompagnatore professionista (es. GAE come detto sopra), invece, si configura normalmente un rapporto di tipo contrattuale tra lo stesso e gli accompagnati. Pertanto nell’ipotesi di infortunio, la Guida sarà soggetta ad una responsabilità di tipo contrattuale di cui all’art. 1218 c.c.. Qui, l’onere della prova per il danneggiato sarà più agevole, dovendo lo stesso provare solo l’inadempimento contrattuale; inoltre il termine di prescrizione per ottenere il risarcimento del danno sarà di ben 10 anni.
Occorre infine rilevare che in alcune circostanze l’attività di montagna è considerata una “attività pericolosa” ai sensi dell’art. 2050 c.c. (“Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”). Siamo nell’ambito delle cc.dd. responsabilità oggettive (extracontrattuali) ove il soggetto è chiamato a rispondere senza che il fatto sia commesso con dolo o colpa. In questo caso, infatti, si richiede un più elevato grado di diligenza nell’esercizio dell’attività e si presume la colpa dell’agente per il danno prodotto. Ne deriva che l’accompagnatore dovrà provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, mentre il danneggiato potrà limitarsi a dimostrare l’esistenza del danno ed il nesso causale tra esso e lo svolgimento dell’attività pericolosa.
Tuttavia, generalmente, le attività considerate pericolose sono quelle alpinistiche, anche in ragione dei mezzi utilizzati, e non quelle definite di “media montagna”.
Le attività che non sono espressamente qualificate come pericolose, possono essere ritenute tali per la natura delle cose e dei mezzi che vengono adoperati per il loro svolgimento. In quest’ultima ipotesi la valutazione sulla pericolosità dell’attività svolta sarà effettuata in concreto, in relazione al grado di probabilità degli eventi dannosi che possono determinarsi nel corso della stessa e non con riferimento al grado di diligenza normalmente usata da coloro che ne prendono parte. Si dovrà, cioè, porre l’accento sulla natura dell’attività e sulle caratteristiche dei mezzi utilizzati, sia nel caso in cui il danno si presenti come conseguenza dell’azione, sia nel caso in cui il danno derivi da un’omissione delle cautele che si dovevano adottare.
Si può aggiungere che, ove si voglia attribuire una connotazione di pericolosità all’attività alpinistica, si dovrebbe tenere conto della distinzione che la L. 20 febbraio 1989, n. 6 fa tra attività di alta montagna e attività di media montagna, per cui il giudizio di pericolosità sulla prima non implicherebbe automaticamente il medesimo anche sul secondo tipo di attività, che non richiede per il suo svolgimento l’utilizzo di attrezzatura particolare.  L’accompagnatore di media montagna svolge le stesse attività della guida alpina con alcune limitazioni, poiché gli è precluso di accompagnare le persone in zone rocciose, sui ghiacciai, sui terreni innevati e su quelli che richiedono comunque, per la progressione, l’uso di corda, piccozza e ramponi, o altra strumentazione specifica. Ne consegue che l’accompagnatore di media montagna – a differenza della guida alpina – non è tenuto ad avere specifiche conoscenze circa l’impiego e le modalità di utilizzo e di mantenimento di attrezzatura alpinistica quali ramponi, piccozza, corda e sci.
Negli ultimi anni infatti è nata anche una nuova figura di accompagnatore professionale: la “guida ambientale escursionistica”, che accompagna in sicurezza in tutto il territorio, senza l’uso di mezzi per la progressione alpinistica e che è inquadrabile nella l. 14 gennaio 2013, n. 3 che disciplina le professioni non organizzate.
A cura dell’Avv. Vanessa Bellucci
Studio Legale FBO
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