Da tempo nella giurisprudenza, soprattutto della Cassazione, si sono indicati, in maniera molto precisa quali debbano essere le condizioni per l’acquisto della proprietà di un bene per usucapione, che avviene, come è noto, a titolo originario in quanto, in pratica, rimane, per così dire, azzerata ogni proprietà antecedente.Orbene, occorre, in primo luogo, la sussistenza, in capo a colui che invoca l’usucapione, di un comportamento continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge (per gli immobili normalmente 20 anni) un potere di fatto corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso, conformi alla qualità e destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla stessa (v. le recenti Cass. 2044/2015 e 17459/2015).
Per il realizzarsi della fattispecie acquisitiva  è certamente importante, dunque, il tempo ma, ancora di più, l’atteggiamento, rispetto al bene, che si intende usucapire:  esso deve essere tale da esprimere chiaramente  il  potere di fatto esercitato sul bene, ossia  una inequivocabile signoria sulla cosa.
Il possesso non deve essere stato acquisito in modo violento o clandestino, deve essere connotato dalla continuità da porsi in relazione con la destinazione del bene che ne forma oggetto.
È importante ricordare, soprattutto per quanto riguarda le ipotesi di usucapione di un bene condominiale, che, nell’accertamento della continuità del possesso, è possibile il ricorso alla presunzione ex art. 1142 CC, secondo cui “il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto, si presume che abbia posseduto nel tempo intermedio” salvo l’ipotesi in cui sia dimostrato, da chi subisce l’usucapione, che l’attività sul bene, da parte del possessore attuale, sia esercitato nell’ambito dell’altrui tolleranza o per la esistenza di una causa di interruzione; quest’ultima può essere rappresentata dal comportamento del possessore che riveli, in modo non equivoco, la volontà di attribuire il diritto reale al suo titolare, non essendo, invece, sufficiente la consapevolezza dell’altrui proprietà (v. Cass. 25250/2006; Cass. 2319/2010).
Sotto tale profilo, sono idonee, ai fini dell’effetto interruttivo del tempo necessario ad usucapire, ad esempio, le trattative per l’acquisto del bene (v. giurisprudenza appena citata ma anche  Cass. 17858/2008) reputate, al contrario, insufficienti da altro filone giurisprudenziale (Cass. 1723/2014) sulla base della considerazione che esse non assumerebbero un significato inequivoco circa l’attribuzione del bene, oggetto di usucapione, al titolare del diritto, ben potendo, dette trattative, essere state sviluppate per evitare le lungaggini del processo (così Cass. 1723/2014 citata).
Sono idonei ad interrompere il decorso del tempo utile per l’usucapione, gli atti giudiziali (es. citazione per il recupero del bene) ma non le lettere di diffida o messa in mora (Cass. 1599/2011;Cass. 9682/2014).
Corpus ed animus sono in definitiva le due essenziali componenti del possesso, o meglio, i due elementi costitutivi, il primo identificato, per l’appunto nel comportamento del soggetto che agisce svolgendo una attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, il secondo, invece, identificato nella intenzione di tenere la cosa come proprietario o come titolare di un diritto reale.
Per la configurabilità dell’animus possidendi, non è richiesta la convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì la intenzione di comportarsi come tale, esercitando i corrispondenti poteri mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini della usucapione (ex multis v. Cass. 14092/2010; Cass. 17488/2014).
Abbiamo voluto richiamare i suddetti principi di carattere generale perché essi costituiscono la condizione per ottenere una sentenza di usucapione tanto nella ipotesi classica del possessore di un bene altrui quanto nella ipotesi del possessore di un bene comune ( ipotesi di cui qui si discute)
All’interrogativo posto all’inizio del presente elaborato, deve darsi risposta positiva a condizione della sussistenza delle suddette condizioni. 
Purtuttavia, occorre rilevare che la particolare posizione del Condomino, che è comproprietario del bene comune che si intende usucapire, postula un quid pluris non essendo sufficiente il mero godimento esclusivo della cosa comune, potendo questo derivare dalla condizione di composessore del bene accompagnata dalla tolleranza degli altri Condomini che vantano pari diritti sulla cosa.
Trattasi di una situazione equivoca inidonea a manifestare una signoria piena ed esclusiva richiesta per il possesso ad usucapionem.
Ecco, allora il motivo per cui, nella giurisprudenza di legittimità e di merito, si afferma costantemente che la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa da parte dell’interessato, deve essere caratterizzata “da una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui” la cui prova rigorosa deve essere data proprio dal Condomino che invoca l’usucapione di un bene comune”.
Da quanto sopra, discende che il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari, estendendo la propria signoria di fatto sulla cosa comune in termini di esclusività . A tal fine, non è sufficiente che gli altri partecipanti si limitano ad astenersi dall’uso del bene, occorrendo che il suddetto comproprietario ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus” (così Cass. 30/06/2014 n° 2014; Cass. 31/08/2015n° 17321 ma anche Cass. 02/08/2012 n° 13893).
In altro senso, il Condominio, per usucapire la cosa di proprietà comune, non deve dimostrare la interversione  del possesso, ma deve fornire la prova di aver sottratto la cosa all’uso comune per il periodo utile all’usucapione e cioè deve dimostrare la sussistenza di una condotta univocamente diretta a rivelare che nel Condomino si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso e non il mero non uso della cosa stessa da parte degli altri Condomini (v. Cass. 02/03/1998 n° 2261; Cass. 23/07/2010 n° 17322 e da ultimo Cass.6.10.2016 n.20039)
Nella giurisprudenza di merito, si segnalano in senso conforme: Tribunale di Salerno 21/06/2010 n° 1452; Tribunale di Potenza 10/05/2012 n. 495; Tribunale di Genova 03/07/2013 n° 2203; Tribunale di Firenze 15/06/2013 n° 2016; Tribunale di Treviso 30/06/2014 n° 1593; Tribunale di Lecce 09/07/2015 n° 3723; Tribunale di Firenze 20/07/2016 n° 2726 , tutte in Giurisprudenza Mass. Plus-Plus 24 ore Diritto.
Va avvertito, per concludere, che nel momento in cui un Condomino introduce una domanda di usucapione, deve citare in giudizio tutti i Condomini in quanto comproprietari del bene oggetto del relativo giudizio , essendo inoltre onerato della prova della condominialità del bene, ricavabile da un titolo o dalla presunzione ex art. 1117 Cod.Civ. laddove collegato strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale (v. Cass. 28/07/2015 n° 15929 e da ultimo Cass. 17/03/2016 n° 5324).
Ottobre 2016-Avv. Antonio Arseni