Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 novembre 2014 – 20 marzo 2015, n. 5657
 
  • La presunzione legale di comproprietà delle parti comuni dell’edificio condominiale ai sensi dell’art.1117 C.C. può essere superata da un regolamento di natura contrattuale ovvero da una delibera adottata all’unanimità dei condomini.
 
  • Inammissibilità della produzione documentale nuova in appello ai sensi dell’art.345 comma 3 c.p.c. anche con riferimento alla formulazione della norma prima delle modificazioni intervenute con la legge n.69/2009 e dal D.L n.83/2012.
 
Il caso.
In un fabbricato condominiale veniva adottata, a maggioranza, una delibera assembleare che istituiva un regolamento condominiale in cui, tra l’altro, veniva prevista la costituzione di diritti su parti comuni dell’edificio in favore di alcuni condomini ed in danno di altri (in particolare veniva statuito l’uso esclusivo delle rampe della scala dal terzo piano all’attico con la possibilità di apporre una chiusura di sicurezza e di limitare l’accesso dell’ascensore).
Un condomino che aveva espresso voto contrario, impugnava la delibera assembleare asserendo che fosse nulla ed, in subordine, chiedeva che fossero comunque dichiarate nulle le predette clausole del presunto regolamento condominiale.
Il Condominio ed i condomini interessati dalla destinazione parziale della rampa delle scale evidenziavano che la delibera non faceva altro che ratificare l’esistenza di un regolamento contrattuale, predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio e specificamente accettato dai condomini nei singoli atti di compravendita degli appartamenti.
Il Tribunale adito dichiarava la nullità della delibera assembleare impugnata limitatamente alla parte del regolamento contestata che prevedeva l’uso esclusivo delle scale.
La Corte di Appello, censurando la decisione impugnata sotto molteplici profili, in accoglimento del gravame e in riforma della decisione di prime cure, dichiarava inammissibile la domanda attorea, rigettando tutte le domande proposte dalla appellata nei confronti dei condomini appellanti.
A sostegno della decisione adottata la corte, premesso che essendo l'impugnazione sostanzialmente volta all'accertamento della invalidità del regolamento condominiale approvato nella seduta del 17.12.2001, rilevava che legittimato passivo non poteva essere il Condominio ma solo i singoli condomini e per l'effetto la domanda attorea andava dichiarata inammissibile nei confronti del Condominio, mentre la tempestività dell'impugnazione rispetto ai condomini discendeva dal fatto che veniva fatta valere azione di nullità del regolamento condominiale, non soggetta al termine decadenziale di cui all'art. 1137 c.c.. Tanto chiarito, rilevava che dagli atti processuali risultava vigere nel Condominio un regolamento contrattuale, predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio, che espressamente aveva escluso dall'uso comune le rampe di scala dal piano terzo al piano attico, riservandolo ad uso esclusivo e perenne del proprietario degli appartamenti posti al piano quarto, su cui gravava per intero l'onere di manutenzione, con il diritto di apporre una chiusura di sicurezza, con la possibilità di limitare l'accesso dell'ascensore all'ultimo piano, regolamento che del tutto superfluamente l'amministratore del Condominio, nell'intento di superare i contrasti insorti fra i condomini, aveva ritenuto di sottoporre all'approvazione dell'assemblea.
Inoltre risultava dai singoli atti di compravendita stipulati dai vari condomini, che questi ultimi si erano impegnati all'osservanza del regolamento per sé e per i loro aventi causa. Quale ulteriore ratio, la corte distrettuale rilevava un difetto di interesse dell'attrice a chiedere l'annullamento della delibera de qua, non deducendo menomazioni rilevanti ai propri diritti.
Il condomino proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione mentre il Condominio proponeva ricorso incidentale.
 
Le problematiche giuridiche.
Parte comune e titolo contrario.
L’art.1117 C.C. al n.1 inserisce tra le parti comuni del fabbricato le scale.
Le scale, anche se più di una e poste concretamente a servizio di parti diverse dell’edificio condominiale, vanno sempre considerate, in assenza di un contrario titolo negoziale, di proprietà comune di tutti i condomini, senza che a ciò possa essere considerato l’art.1123 ult.co. C.C. che, proprio sul presupposto di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento di esse facendo riferimento al criterio della utilitià che iascun condomino o gruppo di condomini ne trae come stabilito dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. Civ. Sez. II 22.02.1996 n. 1357).
Le scale, con i relativi pianerottoli, sono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato, e rientrano tra le parti di questo e, in mancanza di titolo contrario, si presumono comuni a tutti i partecipanti alla collettività condominiale anche se poste concretamente a servizio di talune porzioni dello stabile.
I requisiti del “titolo contrario” idoneo ad escludere la natura comune di una delle parti indicate dall’art. 1117 C.C. sono costituiti da un atto scritto, avente contenuto precettivo, dal quale deriva la proprietà del singolo condomino, come ad esempio il rogito di acquisto della porzione immobiliare ovvero il regolamento di condominio di natura contrattuale, stipulato fra tutti i condomini.
L’esistenza di un titolo contrario alla presunzione di comunione di una delle parti dell’edificio va ricercato nell’atto costitutivo del condominio, ossia nel primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggetto verificando se da esso emerga o meno la volontà delle parti di riservare ad uno o più condomini la proprietà di beni che per struttura ed ubicazione siano potenzialmente destinati all’uso comune.
Il contenuto dell’atto originario deve essere richiamato negli atti di alienazione delle singole unità immobiliari con la possibilità che i consensi sia prestati anche separatamente o in tempi diversi con accettazione degli acquirenti in occasione dei singoli atti di alienazione.
Nei singoli atti di alienazione, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto, fa corpo con esso il regolamento contrattuale di condominio e viene espressamente richiamato ed approvato vincolando i singoli acquirenti (Cass. Civ. Sez. II, 16.02.2005 n.3104).
Nel caso di specie, con una mera delibera a maggioranza, viene esclusa la comproprietà delle rampe di scale del fabbricato condominiale a partire dal terzo piano.
Un’ulteriore anomalia concerne la paventata esistenza di un atto scritto che sarebbe stato redatto da un notaio, senza contenuto precettivo e non richiamato negli atti di acquisto delle singole unità immobiliari.
Detto atto scritto viene prodotto per la prima volta in appello oltre il limiti di cui all’art.345, co.3, c.p.c..
 
La decisione della Cassazione.
E’ interessante cogliere dalla decisione della Suprema Corte i rilievi giuridici che sostanzialmente esprimono una molteplicità di principi di diversa natura.
Tralasciando le questioni preliminari sollevate sui requisiti di specialità della procura e sulla notifica del ricorso, entrambe respinte, interessanti spunti si possono trarre dall’esame dei motivi di ricorso.
Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345, 115, 116, 101 e 184 c.p.c., nonché degli artt. 2697 e 2702 c.c.
La Corte di Appello aveva ritenuto l’esistenza di un regolamento condominiale al quale aveva attribuito natura contrattuale ritenendolo accettato per relationem anche dall’impugnante.
Invero si trattava di una semplice dichiarazione proveniente da un notaio, mai portata a conoscenza del ricorrente, che era stata prodotta solo in secondo grado, e che quindi era da espungere dagli atti non assumendo rilevanza alcuna ai fini della decisione.
Trattavasi di una dichiarazione scritta (formata dopo il primo grado di giudizio) resa da un soggetto già indicato agli atti del processo quale testimone e vertente su circostanze fatte oggetto in primo e secondo grado di prova testimoniale non ammessa.
La presunzione legale di comproprietà dei beni indicati nell'articolo 1117 c.c. può essere superata solo da un regolamento contrattuale ovvero da una delibera condominiale assunta all'unanimità dei condomini.
Il secondo motivo del ricorso principale, nel dedurre violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342, 163, 112, 115 e 116 c.p.c., nonché dell'art. 2697 c.c., sulla medesima circostanza di cui al primo mezzo, rileva che il documento in questione non era stato offerto in comunicazione dagli appellanti nel libello introduttivo del gravame.
Infatti l'atto che contiene la dichiarazione del notaio è stato formato in epoca successiva alla data di notificazione dell'atto di appello.
La Corte ha esaminato i due motivi congiuntamente, perché vertenti sulla medesima questione relativa all'acquisizione documentale in grado di appello ­ritenendoli fondati con esplicito richiamo della sentenza n.8203 del 24.04.2005 delle Sezioni Unite che ha fissato i seguenti principi:
a) l'art. 345 c.p.c., comma 3, (nel testo applicabile ratione temporis alla presente controversia), va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio dell'inammissibilità dei "nuovi mezzi di prova", e quindi anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti (e, quindi, le deroghe) a questa regola, con il porre in via alternativa i requisiti che detti "nuovi mezzi di prova" devono presentare per potere trovare ingresso in sede di gravame; requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto produrli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione;
b) il giudice, pertanto, oltre a quelle prove (comprese quelle documentali) che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga ­ nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite ­ "indispensabili", perché suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come "rilevanti" (cfr. art. 184, comma 1 e art. 420, comma 5 c.p.c.), hanno sulla decisione finale della controversia; prove che, proprio perché "indispensabili", sono capaci, in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado;
c) i documenti devono essere prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione nei rispettivi atti introduttivi del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo;
d) l'ammissione dei "nuovi mezzi di prova" e, quindi, anche della prova documentale, non può prescindere da una espressa domanda delle parti;
e) l'esercizio del potere officioso conferito in materia al giudice di appello non può esercitarsi in modo arbitrario, ma deve essere espresso in un provvedimento motivato, il cui contenuto è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, riguardo al requisito della indispensabilità, nella citata pronuncia è stato evidenziato che la particolare complessità delle controversie ordinarie renderebbe particolarmente pesanti le preclusioni istruttorie, previste per il giudizio di primo grado dal nuovo testo dell'art. 184 c.p.c., ove non si consentisse l'ammissione in appello almeno dei mezzi di prova indispensabili, senza che la parte debba dimostrare anche l'impossibilità ad essa non imputabile di una loro anteriore produzione; ciò risponde a razionalità che le esigenze di speditezza, cui è improntato il rito ordinario dopo la novella del 1990, possano subire in sede di gravame, pure cioè in uno stato avanzato dell'intero iter processuale, un parziale ridimensionamento, proprio perché si è in presenza di prove che, per il loro spessore contenutistico, sono idonee a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale, restando di contro salva in tutti i restanti casi l'ultrattività delle preclusioni già verificatesi in primo grado.
Nella specie, la sentenza impugnata, nel valutare il requisito della indispensabilità del nuovo documento prodotto in appello dal Condominio, in particolare la dichiarazione del notaio, non si è attenuta agli enunciati principi.
E invero, con la sentenza di primo grado il Tribunale aveva ritenuto che la delibera assembleare impugnata limitatamente all'approvazione dell'uso esclusivo delle scale era nulla per essere le stesse parte integrante di un unico edificio e pertanto era inidonea a provare la proprietà esclusiva, in capo ai condomini dei piani superiori del tratto delle scale poste fra il terzo ed l'attico, la prova testimoniale articolata dal convenuto Condominio.
A fronte di detta pronuncia la corte di merito ha tenuto conto ai fini del proprio convincimento della dichiarazione contenuta nel documento prodotto dall'appellante, nella quale il notaio ha certificato la predisposizione del regolamento condominiale nel febbraio 2000, stipulato l'atto pubblico di compravendita dalla ricorrente nel settembre 2000, diretta a dimostrare la anteriorità della redazione del regolamento da parte dell'unico originario proprietario rispetto all'atto di acquisto della ricorrente.
Orbene, non par dubbio che la nuova documentazione offerta dall'appellante, diretta a dimostrare ­ ad integrazione dei documenti già ritualmente prodotti e a supporto di circostanze dedotte con l'articolazione di prova testimoniale ritenuta inidonea dal Tribunale ­ il tempo di redazione del regolamento condominiale non costituiva, neanche in astratto, un mezzo decisivo per dimostrare che tale bene non era di proprietà del Condominio e, quindi, per determinare il ribaltamento della decisione di primo grado.
La Corte di Appello ha ritenuto ammissibile la predetta produzione documentale, implicitamente effettuando una valutazione di indispensabilità del nuovo documento depositato in appello, senza tenere conto che non si è verificata alcuna delle condizioni previste dall'art. 345 c.p.c., non avendo considerato la sovrapponibilità della circostanza ivi attestata con il tenore delle prove orali, non potendosi, inoltre, sostenere che la necessità della relativa produzione sia insorta dallo sviluppo assunto dal giudizio di primo grado.
Il giudice del gravame, pertanto, ha dato ingresso al nuovo documento per il semplice fatto che lo stesso era di formazione successiva rispetto al primo grado (dichiarazione rilasciata in data 14 luglio 2005, depositata la sentenza di primo grado nello stesso anno 2005).
Così opinando, esso ha offerto un'interpretazione del potere di ammissione delle prove documentali "indispensabili" in appello che finisce con il vanificare il regime delle preclusioni istruttorie, previsto dall'art. 184 c.p.c. in relazione all'art. 345 c.p.c., comma 3.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1137 e 1138 c.c., oltre che dell'art. 102 c.p.c., per avere ritenuto la corte di merito inammissibile l'impugnazione del regolamento condominiale nei confronti dell'ente Condominio in quanto la domanda dalla stessa proposta si componeva di due distinti capi, il primo, riguardante una impugnativa ex art. 1137 c.c. di deliberato assembleare, il secondo, rafforzativo del precedente, di invalidità dell'originale testo regolamentare di natura contrattuale, per cui appare irrilevante la questione, accertata la legittimazione passiva del Condominio rispetto al primo e verificata l'evocazione in giudizio con il medesimo procedimento notificatorio anche dei singoli condomini.
Anche detto motivo va accolto, in quanto pur vero che ­ come asserito dalla stessa ricorrente ­ sono stati evocati in giudizio sia il Condominio sia ciascun condomino in proprio, tuttavia va affermata la legittimazione passiva dell'Amministratore del Condominio tutte le volte che venga in rilievo, come nella specie, un vizio dell'atto assembleare (cfr Cass. 11 luglio 2012 n. 11757), o meglio la delibera di approvazione dell'ambito delle proprietà comuni.
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1138 c.c., 71 disp.att. c.c., per non avere la corte di merito tenuto conto che prima dell'acquisto da parte del ricorrente  dell'immobile sito nello stabile condominiale non vi era il regolamento condominiale, per cui non avendo la controparte dimostrato tale assunto ed essendosi con le vendite dei singoli appartamenti ormai formato il Condominio, occorrerà la approvazione di un regolamento secondo le maggioranze di legge da parte dell'assemblea ovvero attraverso la singola espressa adesione degli acquirenti condomini al testo regolamentare.
A fronte della domanda di inopponibilità del regolamento, era onere della controparte provare la esistenza di un testo regolamentare di natura contrattuale prima della creazione del Condominio ovvero successivamente accettato per adesione dai singoli acquirenti delle varie unità immobiliari.
 In atti ­ ad avviso della ricorrente ­ non vi sarebbe la prova che prima della compravendita esistesse un regolamento condominiale di natura contrattuale predisposto dalla società venditrice e rispetto al quale comunque risultasse la sua accettazione.
Dalla documentazione prodotta emergerebbe che solo al rogito di compravendita di uno dei condomini, proprietario di unità immobiliare con accesso sulla rampa delle scale de quo, risulta allegato e quindi trascritto presso i Pubblici Registri della Conservatoria il regolamento de quo.
Del resto la clausola contenuta nel rogito del definitivo relativo all'appartamento da lei acquistato non consente di individuare un regolamento costitutivo di diritti sulle cose comuni in favore soltanto di alcuni condomini ed in danno degli altri. Prosegue la ricorrente deducendo l'introduzione di clausole vessatorie siccome limitative dei diritti di tutti i condomini su una porzione ­ le scale ­ comune per definizione. Del resto non può essere attribuito al costruttore o al venditore una assoluta discrezionalità nella redazione e predisposizione del regolamento.
Con il quinto motivo, nel dedurre il vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che la sentenza di secondo grado abbia ritenuto sufficiente la semplice potenziale conoscibilità del regolamento in questione che, di converso, è del tutto mancata, per le ragioni sopra esposte, in particolare per avere tenuto conto della dichiarazione del notaio, senza considerare che il notaio stipulante non aveva presso di sé copia del regolamento in questione.
Anche le censure quattro e cinque vanno esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione argomentativa.
Esse vanno accolte.
Occorre premettere che l'obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unità immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente si incarica il costruttore di predisporre, come non vale a conferire a quest'ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, così non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest'ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto (cfr Cass. 16 febbraio 2005 n. 3104; Cass. 6 agosto 1999 n. 8486; Cass. 16 giugno 1992 n. 7359).
Con riguardo alla fattispecie in esame, deve aggiungersi che, come di desume dalla sentenza impugnata, il regolamento di cui si tratta era stato unicamente depositato presso lo studio notarile  diverso da quello che ha rogato la compravendita del ricorrente e, quindi, non era stato nemmeno trascritto nell'apposito registro di cui all'art. 1129 c.c., u.c., secondo la previsione dell'art. 1138 c.c., comma 3, in modo da poter assolvere la funzione di pubblicità notizia per essere opponibile nei confronti di tutti i condomini.
Per completezza argomentativa si osserva che la presunzione di proprietà condominiale sulle strutture essenziali all'esistenza dell'edificio, elencate nell'art. 1117 n. 1 c.c., come nella specie le scale, può essere superata soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costituito il condominio ovvero da tutti i condomini successivamente, nel quale si affermi la proprietà esclusiva a favore del condomino, mentre la stessa presunzione non può essere superata dal concreto accertamento della destinazione delle suddette strutture all'uso esclusivo del singolo condomino (cfr in termini v. Cass. 24 febbraio 1999 n. 1568).
La censura formulata con il sesto ed il settimo motivo, con i quali la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c. e 1421 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la corte di merito individuato una ulteriore ragione di accoglimento del gravame nel presunto difetto di interesse ad agire di costei laddove detta disciplina comporta una compressione del diritto dominicale sulle porzioni comuni interessate.
Dalle considerazioni svolte con riferimento ai mezzi quattro e cinque consegue la fondatezza anche di detta censura, giacché l'interesse ad agire di un condomino per la rimozione di una deliberazione contraria alla legge o al regolamento di condominio, oltre a sostanziarsi nell'utilità di ciascun condomino allo svolgimento secondo regola delle relazioni condominiali, è costituito proprio dall'accertamento dei vizi da cui è affetta la deliberazione (v. Cass. n. 17276 del 2005; Cass. n. 4270 del 2001 e Cass. n. 2912 del 1997).
Passando all'esame del ricorso incidentale, con il primo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1138 e 1107 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la corte di merito ritenuto tempestiva l'impugnativa de qua nonostante fosse stata adottata il 17.12.2001 ed evocati in giudizio i condomini oltre i trenta giorni.
Il motivo è infondato. La delibera all'origine dell'attuale controversia, adottata in data 17 dicembre 2001, deve considerarsi nulla, perché non rientra nei poteri dell'assemblea, deliberando a maggioranza, stabilire l'ambito delle rispettive proprietà, determinando i beni di proprietà esclusiva rispetto a quelli di proprietà comune, potendo tale previsione essere inserita soltanto in un (valido) regolamento contrattuale, approvato all'unanimità (Cass. 18 maggio 2011 n. 10929). Tale nullità che inficia la deliberazione può essere fatta valere dal condomino interessato senza essere tenuto all'osservanza del termine di decadenza di trenta giorni ai sensi dell'art. 1137 c.c. (Cass. 24 maggio 2004 n. 9981).
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali lamentano che la corte di merito non si sia pronunciata, ritenendolo evidentemente argomento assorbito dall'accoglimento delle altre prospettazioni giuridiche, sulla evidenziata validità dell'approvazione a maggioranza del regolamento de quo, ai sensi degli artt. 1138 e 1136 c.c., ben potendo la presunzione di appartenenza comune delle scale ben essere derogata da una deliberazione presa a maggioranza dei condomini.
La censura non può trovare ingresso. Nell'ambito dei regolamenti condominiali vanno distinte le clausole con contenuto tipicamente regolamentare dalle clausole contrattuali le quali devono essere approvate all'unanimità. È fuori discussione che una clausola, che limita ad un determinato uso un immobile escludendo gli altri possibili, costituisce limitazione del diritto di proprietà.
Pertanto le norme del regolamento condominiale, che incidono sulla utilizzabilità e sulla destinazione delle parti dell'edificio, in particolare sullo stato giuridico di una cosa comune, come nella specie le scale, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto ovvero con atti separati, e, se invece deliberate dall'assemblea.
E, non potendo formare oggetto di decisione assembleare a maggioranza, sono assolutamente nulle le deliberazioni delle assemblee condominiali lesive dei diritti di proprietà comune. Ciò posto, non vi è dubbio che la clausola (del regolamento condominiale approvato dall'assemblea a maggioranza) che destina alla proprietà esclusiva dei proprietari dell'appartamento posto al piano terzo ed attico dello stabile le scale di collegamento fra i due piani, costituisce "di per sé" lesione del diritto di proprietà comune dei condomini, comprimendo in maniera eccessiva e ingiustificata l'esercizio di facoltà connesse all'uso o al godimento delle parti comuni dell'edificio ­ divieto di accedere in una parte delle scale ­ escludendo alcune destinazioni dall'uso che avrebbe potuto altrimenti farsi della cosa comune.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale vengono riproposti i mezzi di prova per testi articolati nella memoria ex art. 184 c.p.c. articolati in primo grado, che vengono testualmente riportati.
Il motivo è inammissibile prima che infondato.
La parte ricorrente omette di specificare se l'istanza ­ disattesa in prima battuta dal giudice di primo grado ­ era stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni davanti al tribunale e poi in sede di gravame. In difetto di tali allegazioni, la censura è inammissibile.
Va infatti ribadito che la censura contenuta nel ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova, non indichi ­ come nella specie ­ i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare ­ elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto ­ nonché la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire "ex actis" alla Cassazione di verificare la veridicità dell'asserzione (cfr Cass. n. 19138 del 2004).
Da ultimo va rilevato che i capi di prova dedotti non appaiono decisivi, perché non idonei a superare il difetto di idoneità a dimostrare gli assunti di parte convenuta rimproverate dal giudice di prime cure alle analoghe deduzioni istruttorie aventi il medesimo obbiettivo.
Conclusivamente, il ricorso principale va accolto e quello incidentale respinto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvio al altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvedere al riesame della controversia alla luce dei principi sopra illustrati. Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
(Avv. Alessandro Moscatelli)