Prima di affrontare il duplice obbligo informativo gravante sull’intermediario, occorre brevemente compiere alcuni cenni sul concetto stesso di informazione. Il rapporto che intercorre tra sottoscrittore e proponente l’investimento è caratterizzato proprio da una asimmetria informativa dovuta al diverso grado di conoscenza del mercato finanziario e delle sue dinamiche. Scopo della attività informativa è proprio il riequilibrio di tale disparità tra le parti. L’informazione, quindi, non può essere descritta come una semplice comunicazione di dati, bensì come una attività funzionale alla conoscenza della operazione finanziaria ed economica.[1] Informare, pertanto, equivale ad ingenerare nel cliente retail una coscienza precisa della  propria attività finanziaria atta a chiarire ogni eventuale dubbio sulla operazione che si va ad intraprendere. Vi è  un intento volto ad agevolare una formazione della volontà contrattuale in modo corretto, allo scopo di avere scelte consapevoli, in grado di porre in essere una precisa graduazione del rischio che l’investitore intende accettare. Proprio il tema del rischio ha connessioni profonde con il concetto di informativa. Infatti, solo un investitore adeguatamente informato riesce a compiere una valutazione prognostica non solo del grado di rischio che esso si assume con la sottoscrizione dell’investimento stesso, ma sarà anche in grado di valutare la rispondenza di quest’ultimo alle proprie aspettative. Vi è quindi un giusto passaggio per il cliente da una fase di scarsa conoscenza delle dinamiche dello strumento finanziario propostogli ad un ruolo attivo idoneo a creare una piena consapevolezza del contratto che va a sottoscrivere. Vi è quindi un superamento del rapporto fiduciario intermediario-investitore[2] , a favore di un intermediario che invece supera tale schema, rimuovendo ogni asimmetria informativa per giungere ad una conoscenza più concreta dello strumento finanziario a lui proposto. Tale assunto richiama, attraverso il nuovo ruolo deputato all’investitore, gli obblighi di informazione previsti dal T.U.F. all’articolo 21. In tale ottica vediamo che emergono con chiarezza il tema della adeguatezza della informazione ed i canoni che la stessa deve rivestire. E’ fatto obbligo ai soggetti abilitati nella prestazione di servizi e attività di investimento non solo di comportarsi con diligenza correttezza e trasparenza nell’interesse della propria clientela e della superiore integrità di mercato ma anche di acquisire informazioni necessarie dal cliente stesso e provvedere a che questi siano sempre adeguatamente informati attraverso comunicazioni corrette chiare e non fuorvianti. Gli obblighi che precedono sembrano potersi riassumere in un duplice obbligo che giustamente una decisione di una Corte di merito ha definito come “dovere di informarsi e nel dovere di informare”, dove l’obbligo di informarsi sul cliente rappresenta il presupposto del dovere di informare lo stesso in un rapporto di interdipendenza reciproca.[3] Correttamente la decisione evidenzia come è fatto onere all’intermediario prima di comprendere la posizione globale dell’investitore assumendo informazioni dallo stesso ad esempio sul profilo di rischio che lo stesso ritiene a sé confacente, sulle proprie capacità economiche ed anche sulle conoscenze che quest’ultimo possiede in ambito finanziario. Successivamente a tale insieme di informazioni, e solo dopo aver assunto queste, si potrà dare al cliente una informativa adeguata. Infatti, muovendo dal concetto che l’informazione della presente disamina altro non è che una comunicazione idonea ad accrescere conoscenza e consapevolezza nell’investitore, solo comprendendo l’esatto status di quest’ultimo si potrà a lui fornire una informazione che concretamente agevolerà l’esatta comprensione delle operazioni che si andranno a porre in essere. Da ciò può evincersi il concetto di adeguatezza presente nella normativa del T.U.F. nonché nella previgente norma regolamentare Consob (Art. 28 Reg. Consob 11522/98) e nell’attuale Regolamento n. 16190/2007 all’art. 28. Tralasciando per un attimo l’ampliamento di tutela che si è concretizzato nel susseguirsi delle due norme regolamentari citate, appare opportuno soffermarsi ancora un attimo sul termine adeguatezza sopra richiamato. Può considerarsi a parere di chi scrive adeguata quella sola informazione che concretamente rimuove la disuguaglianza conoscitiva tra investitore e intermediario. Perché ciò si abbia sarà necessario una esatta comprensione delle conoscenze dell’investitore e muovere da esse affinchè l’informativa sia adeguata a tale grado di conoscenza appreso dall’intermediario nella modalità descritta. Vi è necessità quindi di definire la adeguatezza della informazione come una chiara e comprensibile comunicazione di conoscenze precisamente adeguate alle caratteristiche peculiari del singolo cliente. Una conoscenza idonea dell’investimento porterà ad una ponderata valutazione del rischio da parte dell’investitore stesso il quale sarà così in grado di ridurre l’alea ad esso connessa entro quella propria delle operazioni di mercato, con ciò assumendo unicamente quel rischio fisiologico connesso all’investimento stesso.[4] Gli obblighi di diligenza correttezza e trasparenza dettati dall’art. 21 del T.U.F. esplicano i propri effetti anche sull’obbligo di informazione in oggetto poiché quest’ultimo sarà adempiuto alla luce di tali linee guida. La correttezza si estrinseca infatti nel rendere consapevole la scelta dell’investitore. Sarà pertanto onere dell’intermediario fornire al cliente tutte quelle informazioni idonee a connotare esattamente non solo il grado di rischio che quest’ultimo si assume con la sottoscrizione dello strumento finanziario, ma anche tutte quelle dinamiche che sottendono al funzionamento dello stesso e al suo incremento o decremento di valore. Connessa con la correttezza è sicuramente il concetto di trasparenza che la norma citata chiarifica al punto c del comma 1 imponendo comunicazioni pubblicitarie e promozionali chiare corrette e non fuorvianti. Significa pertanto, che nell’adempimento del proprio obbligo l’intermediario dovrà unicamente colmare la lacuna conoscitiva del cliente con comunicazioni che non tendano a fuorviare il processo decisionale di quest’ultimo nella sottoscrizione del contratto, ma anzi siano idonee ad ingenerare in questi una volontà negoziale fondata unicamente su dati concreti. E’ quindi la consapevolezza l’elemento che più di ogni altro appare idoneo a rimuovere la asimmetria informativa tra le parti. Solo la consapevolezza, infatti, è frutto di una conoscenza generatasi dalla comunicazione di informazioni adeguatamente strutturate sul grado di conoscenza che l’investitore possiede al momento della sottoscrizione. Ripercorrendo, quindi, a ritroso il ragionamento sin qui svolto, vediamo che l’intermediario assolverà il proprio obbligo informativo laddove ingeneri consapevolezza dell’investimento e del grado di rischio assunto nell’investitore; ed arriverà a tale risultato solo ove abbia assunto una informazione sulle conoscenze del proprio cliente idonee a conoscerne la effettiva preparazione in ambito finanziario. Autorevole dottrina ha evidenziato come i doveri informativi posti a carico dell’intermediario risultino essere la applicazione del criterio comportamentale di correttezza e diligenza in quanto informare il proprio cliente rappresenta l’esplicazione della correttezza mentre l’obbligo di acquisire informazioni dal cliente rappresenta l’applicazione del criterio di diligenza.[5] Di tutto interesse è il rafforzamento che la normativa finanziaria trova nelle norme regolamentari consob. Infatti nell’abrogato regolamento consob 11522/98 si evidenzia come l’articolo 28 specifica la nozione di “informazione adeguata” come l’impossibilità per l’intermediario di effettuare operazioni senza aver fornito all’investitore adeguate nozioni su rischi e natura della operazione previa acquisizione di notizie sulla esperienza, situazione finanziaria, obiettivi dell’investimento e propensione al rischio dell’investitore. L’adempimento di un simile obbligo, permetterà la valutazione della adeguatezza della operazione con ogni conseguenza ad essa afferente per ciò che attiene gli obblighi previsti dal successivo art. 29. Nel merito la giurisprudenza ha evidenziato come la violazione di una avvertenza di inadeguatezza chiara ed esaustiva da parte dell’intermediario, comporti una violazione idonea a causare danno al cliente.[6] Premesso quanto esposto può concludersi che le modifiche regolamentari e normative intervenute nel settore indagato, hanno permesso la trasformazione del rapporto tra intermediario e investitore in una ottica collaborativa, nella quale l'operatore professionale pone in essere una attività di informazione che permette una interazione con l'investitore migliore, caratterizzata da una piena consapevolezza di quest'ultimo nelle scelte finanziarie assunte.
Avv.Francesco Cocchi  
[1] Prof. Avv. Fernando Greco, “La regola della informazione nel nuovo regolamento Consob” in www.ilcaso.it sez. II, doc. 82/2007. [2] Nel merito si veda Prof. Avv. Fernando Greco op. cit. [3] Tribunale di Enna, sent.14 ottobre 2009 in www.altalex.it  [4] G.Giovanni Facci “Il danno da informazione inesatta” Zanichelli 2009, Bologna
[5] Giovanni Facci, Op. cit. [6] Tribunale di Torino 1455/2010 in  www.almaiura.it.