L’inesorabile protrarsi della crisi economico-finanziaria nazionale ed internazionale, gli effetti degenerativi del cd. credit crunch, il progressivo indebitamento di privati ed aziende sono tutti temi che hanno recentemente riportato sotto le luci della ribalta, anche massmediatica, l’annosa questione dell’usura bancaria.
Con tale espressione ci si intende riferire all’applicazione sui finanziamenti concessi alla clientela dagli Istituti di credito, nonché dagli intermediari finanziari a ciò deputati ed autorizzati, di tassi di interesse effettivi che, sommando il tasso nominale e tutti gli oneri relativi alla concessione del credito, superino il limite consentito dall’art. 2, I comma, della L. n. 108/1996 (cd. Legge sull’usura) oltre il quale gli interessi sono sempre considerati usurari.
Detto limite è fissato nel tasso medio praticato per la corrispondente categoria di credito dai medesimi soggetti finanziatori nel trimestre precedente, aumentato di un quarto più 4 punti percentuali, purché l’aumento non sia complessivamente superiore ad 8 punti percentuali.
Per semplificare, si tratta di soglie che, per il primo trimestre del 2014, vanno dall’8,7625% dei mutui ipotecari a tasso variabile (10,3875% per quelli a tasso fisso) al 19,3250% per gli acquisti rateali, fino al 24,99% sul credito revolving delle carte di credito; per i conti correnti il tasso soglia sul fido di conto è fissato al 18,275% ed al 24,19% quello sugli scoperti.
L’individuazione del momento rilevante per la valutazione dell’usurarietà degli interessi e degli ulteriori oneri economici connessi ad un finanziamento, da un lato, e l’alternativa tesi dell’inclusione o meno, nella sfera di applicazione della normativa antiusura, anche degli interessi moratori, dall’altro, rappresentano due argomenti oggetto di acceso dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale, rispetto ai quali si assiste ad una continua sovrapposizione di contrastanti orientamenti.
Ad essi si aggiunge, sul piano dei rimedi, la ricognizione di diversi strumenti di tutela previsti dall’ordinamento a favore del cliente.
Il terreno su cui si dipana questo mai sopito confronto è rappresentato dalla questione dell’usura sopravvenuta.
Essa attiene, in base ad un primo profilo, ai contratti che risultavano in corso al momento dell’entrata in vigore della menzionata L. n. 108/1996, ma che erano sorti in un periodo antecedente alla predetta fonte normativa.
Secondo una diversa angolazione, invece, si parla di usura sopravvenuta in relazione all’esigenza di verifica della usurarietà delle condizioni contrattuali nel caso di tasso convenuto originariamente in misura lecita (ossia sotto la soglia usura) ma che, per effetto di una sopravvenuta variazione in diminuzione del tasso soglia, sia divenuto successivamente superiore a quest’ultimo rilevato di tempo in tempo.
Ora, senza pretese di esaustività di trattazione, basti in tale sede considerare che in dottrina come in giurisprudenza hanno costituito materia di approfondita elaborazione sia la tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta, nelle due diverse configurazioni appena illustrate, sia quella della sua irrilevanza.
Chi aderisce al primo assunto sostiene, in sintesi, che nel caso in cui gli interessi originariamente pattuiti al di sotto del tasso soglia superino tale limite nel corso del rapporto sarebbe inapplicabile l’art. 1815, II comma, c.c. (che dispone testualmente che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”), ma, comunque, il tasso dovrebbe essere ridotto al limite del tasso soglia rilevato di tempo in tempo, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto dall’art. 1339 c.c..
Coloro i quali, invece, sposano la tesi contraria si rifanno al dettato dell’art. 1, I comma, del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108/1996, che ha espressamente indicato quale momento determinante ai fini della valutazione di usurarietà quello in cui gli interessi “sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
A ravvivare ulteriormente la discussione sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale, con le due sentenze gemelle nn. 602 e 603 dell’11 gennaio 2013, ha essenzialmente statuito, pronunciandosi in ambito di ius superveniens con riferimento ad un rapporto di conto corrente sorto prima della Legge sull’usura, che i tassi possono divenire usurari anche nel corso di un rapporto di finanziamento, non solo nel momento in cui sono pattuiti.
In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato, decidendo le fattispecie sottoposte al loro esame, che “trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della L. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato l’art. 1 L. n. 108 del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali) al di sopra dei quali gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, secondo comma e 1339 c.c., circa l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia”.
In sostanza, nelle suindicate pronunce della Suprema Corte, che appaiono deporre a favore della rilevanza dell’usura sopravvenuta pur senza sviscerare in chiave risolutiva il contrasto venutosi a creare nel corso del tempo attorno a tale dibattuta figura giuridica, si rinviene un richiamo esplicito alla nullità parziale del contratto o di singole clausole di esso ex art. 1419, II comma, c.c., quale rimedio, però, che incide non sul momento genetico del rapporto, bensì sul comportamento delle parti in fase di sua esecuzione.
In tale contesto giuridico e normativo già sufficientemente articolato l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), ossia l’organismo indipendente ed imparziale nei compiti e nelle decisioni che è preposto ad un sistema alternativo di risoluzione delle controversie che possono sorgere tra i clienti e le banche e gli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, sembra suggerire una terza via.
Con la decisione prot. n. 77/14 del 10 gennaio 2014, concernente la concessione da parte di un intermediario di un finanziamento personale con previsione di ammortamento ripartito in sessanta rate mensili, il Collegio di coordinamento dell’ABF dapprima ribadisce a chiare lettere che l’usura sopravvenuta non riguarda l’applicazione dell’art. 644 c.p. né dell’art. 1815, II comma, c.c., che risulta esclusa dall’intervento chiarificatore del Legislatore di cui al menzionato D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108/1996.
Prosegue, poi, l’ABF evidenziando come neppure il rimedio civilistico ex art. 1419, II comma, c.c., che contempla l’eliminazione del tasso pattuito che risulti pro tempore sopra il limite dell’usura e la sua sostituzione automatica con il tasso soglia, sarebbe adeguato.
Un meccanismo di questo tipo, secondo il Collegio di coordinamento, violerebbe la necessaria simmetria tra il tasso medio di mercato segnalato dalle banche e rilevato dalla Banca d’Italia, il tasso pattuito e quello dovuto, perché inciderebbe in modo asimmetrico sui finanziamenti a tasso fisso, maggiormente soggetti al rischio usura sopravvenuta, rompendo così l’equilibrio sul rischio tasso ed “esponendo il prestatore al rischio di tassi crescenti senza il vantaggio di poter profittare dei tassi decrescenti”.
Con l’ulteriore deprecabile conseguenza per cui “si disincentiverebbe in modo drastico la stipulazione di finanziamenti poliennali a tasso fisso” che, invero, sono graditi dalle categorie sociali più ampie e bisognose di tutela.
Illustrate le criticità sottese agli assunti della nullità totale e parziale, l’ABF, volendo calibrare il rimedio da offrire al sottoscrittore di un contratto di finanziamento a tasso fisso, con un colpo di coda soddisfa l’invocata esigenza di tutela attraverso il richiamo al principio generale di correttezza e buona fede in senso oggettivo, espressivo di un dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., che impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra fino a quando ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico.
Il risultato raggiunto è quello di vedere così colmato l’eccessivo squilibrio delle condizioni contrattuali, attuato dall’ABF, nella fattispecie sottoposta al suo esame, disponendo nei confronti dell’intermediario la restituzione a favore del cliente di quanto incassato a titolo di interessi e oneri superiori alla soglia.
Non ci si dovrà stupire, quindi, se tale ricostruzione dell’istituto, seppur prestando il fianco a contrastanti voci di pensiero in ordine al percorso logico argomentativo prescelto dal Collegio di coordinamento, potrà trovare l’adesione da parte dei giudici di merito suggestionati dalla “nuova” via tracciata.
Staremo a vedere come riterrà di orientarsi in proposito la giurisprudenza.
Infine, come anticipato in apertura di esposizione, non può trascurarsi in materia di usura bancaria la rilevanza della questione attinente alla considerazione o meno anche dei tassi moratori ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia.
Sebbene pure intorno a questo tema si possano registrare opinioni tra loro nettamente contrapposte, spicca sul punto la recente sentenza n. 350 del 9 gennaio 2013 della Corte di Cassazione.
Con detta pronuncia i giudici di legittimità hanno sancito il principio in base al quale, per classificare un tasso come usurario, deve aversi riguardo anche agli interessi di mora inseriti in un contratto di finanziamento, pure se, in corso di rapporto, non vi sia stato inadempimento.
La Suprema Corte perviene a tale conclusione facendo testuale richiamo al citato art. 1, I comma, del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108/1996, statuendo che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., co. 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori. Infatti il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, co. 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – tale assunto”.
A fronte di tale pronunciamento la Banca d’Italia, con la nota del 3 luglio 2013, ha precisato che anche gli interessi moratori ricadono nella sfera di applicazione della normativa antiusura.
Tuttavia, a differenza della Corte di Cassazione, essa ne ha escluso la rilevanza ai fini dell’usura originaria sostenendo che gli interessi di mora non sono dovuti dal momento della erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento del cliente.
Concludendo, a fronte della sintetica panoramica sin qui compiuta dell’attualissima tematica dell’usura bancaria, pare auspicabile attendere un intervento dirimente, in chiave nomofilattica, da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte che sia in grado di ricondurre ad unità le divergenti posizioni di principio sviluppatesi nel corso del tempo.
Se rispetto all’usura originaria il dettato dell’art. 1815, II comma, c.c. consente di non considerare dovuti per l’intera durata del rapporto gli interessi convenuti in misura usuraria, per quanto attiene all’usura sopravvenuta le ultime decisioni giurisprudenziali sembrano muoversi nella direzione di colpire solo gli interessi eccedenti il tasso soglia e non di azzerarli o di sostituirli con il tasso legale.
Oltre a ciò si impone una riflessione circa il potenziale impatto, sulla condotta quotidiana degli operatori bancari e finanziari, della riconosciuta rilevanza dell’usura sopravvenuta ed, ancor più, della affermata necessità di considerare anche i tassi di mora ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia.
È intuitivo, infatti, che le banche e gli intermediari saranno sempre più indotti ad eseguire un monitoraggio periodico di confronto tra TEG e soglia usura, così come può forse immaginarsi una negativa ripercussione delle sopra illustrate statuizioni sul mercato generale di concessione del credito, nell’ambito del quale si potrebbe assistere ad una contrazione nell’erogazione di mutui a tasso fisso per la difficoltà da parte dell’Istituto di credito di decifrare, al momento della conclusione del contratto, il corretto rapporto rischio-rendimento.  

Avv. Alessandro Travaglia
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