1.1. Nelle pagine seguenti cercherò di tratteggiare un breve excursus sul fenomeno dell’anatocismo (id est la produzione di ulteriori interessi da parte di interessi scaduti -e non pagati- su un debito pecuniario): tema sul quale vi è stata una grandissima attenzione, negli ultimi (venti) anni, con diversi interventi legislativi, spesso incalzati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in uno scenario caratterizzato dall'irriducibile contrasto fra interessi dei correntisti e degli istituti di credito.
La pratica in esame, è bene precisarlo, è sempre stata vista con sfavore dal legislatore, che ne ha codificato il divieto, all’art. 1283 c.c., in questi termini: “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.
Ciò non di meno, dottrina e giurisprudenza, per oltre cinquanta anni, hanno avallato l’anatocismo praticato dalle Banche, riconoscendo la sussistenza di usi contrari (individuabili nelle norme bancarie uniformi, predisposte dall’ABI), idonei a derogarne il divieto, qualificandolo, più precisamente, alla stregua di un “uso normativo[1].

1.2. A partire dalla celebre sentenza n. 2374 del 16 marzo 1999, la Suprema Corte ha però mutato il proprio orientamento e declassato tale prassi a semplice “uso negoziale”, con la conseguente nullità delle clausole contrattuali anatocistiche, riscontrando la non configurabilità di una normativa consuetudinaria specifica e puntuale, in primo luogo per la carenza dell’elemento psicologico (opinio juris ac necessitatis), in quanto l’inserimento di clausole anatocistiche è stato ritenuto come “acconsentito -da parte dei clienti- non in quanto ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile che fossero esistenti nell’ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive delle associazioni di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari”[2].

1.3. Tale revirement ha reso necessario un intervento legislativo, teso a ripristinare la legalità dell’anatocismo: è stato dunque introdotto il comma 2 all’art. 120 del D.Lgs 1° settembre 1993, n. 385 (“TUB”), ad opera dell’art. 25 D.Lgs 4 agosto 1999, n. 342 (c.d. “decreto salva banche”), in base al quale è stato affidato al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (“CICR”) il compito di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni bancarie, garantendo alla clientela pari periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.
In attuazione della norma primaria, il CICR ha poi emanato la delibera 9 febbraio 2000, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 aprile 2000, con la quale è stata sostanzialmente riconosciuta agli istituti bancari la possibilità di capitalizzare gli interessi nell’ambito dei rapporti di conto corrente, a condizione di rispettare una pari periodicità tra quelli a debito e quelli a credito.
Il sopra evocato art. 25 del D.Lgs 342/99 è in seguito divenuto oggetto di aspre critiche da parte di dottrina e giurisprudenza, che ne hanno posto in dubbio la legittimità costituzionale, nella parte in cui stabiliva che le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della Delibera CICR 9 febbraio 2000 fossero valide ed efficaci fino a tale data e che, dopo di essa, dovessero essere adeguate.
A dirimere la diatriba è intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000, che ha ritenuto fondata la questione sottopostale, concernente l’eccesso di delega per violazione dell’art. 76 Cost., statuendo che: “è certamente da escludersi che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante, sia pure nell’esercizio del potere di armonizzazione di tale testo unico con il resto della normativa di settore”, con ciò eliminando retroattivamente, ex tunc, il comma 3 dell’art. 25 sopra citato.
Tale principio è stato recepito dalla Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 21095 del 4 novembre 2004, in forza del cui insegnamento le clausole contrattuali stipulate anteriormente all’entrata in vigore della Delibera CICR restano “secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c.” [3].

1.4. Per circa un decennio dalla sua introduzione, pertanto, la Delibera CICR del 9 febbraio 2000 è divenuta il principale parametro di riferimento per la valutazione delle clausole anatocistiche (nel senso della loro illegittimità e/o nullità ante delibera e della loro validità/efficacia post delibera, laddove rispettose della pari periodicità ed approvate per iscritto dai correntisti).
Vi è da aggiungere che sebbene la giurisprudenza maggioritaria si era da subito allineata all’insegnamento della Corte Costituzionale, considerando radicalmente nulle, -ex art. 1418, comma 1 c.c., per violazione di una norma imperativa- le clausole anatocistiche stipulate prima dell’entrata in vigore della Delibera CICR, un orientamento minoritario aveva ipotizzato una soluzione alternativa, consistente in una “capitalizzazione sostitutiva, con periodicità annuale”.
La querelle nata è stata definitivamente risolta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, la quale ha sancito che “dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in una apertura di credito in conto corrente, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 osterebbe anche ad una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza” [4].

1.5. Il quadro testé affrescato è perdurato sino alla c.d. “Legge di stabilità 2014” (Legge 27 dicembre 2013, n. 147), allorché il Legislatore è intervenuto nuovamente in materia, per definitivamente vietare il fenomeno in esame, con il comma 629 dell’art. 1. Ne è conseguita l’attuale formulazione dell’art. 120, comma 2, TUB, secondo cui: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; (…) b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale” [5].
Dall’entrata in vigore della sopra evocata Legge di stabilità 2014 (1° gennaio 2014), pertanto, l’anatocismo bancario è  formalmente proibito ex lege, così come sostenuto dalla migliore dottrina e giurisprudenza[6].
Per terminare la panoramica della materia non rimane che segnalare il tentativo di modificare ancora il secondo comma dell’art. 120, ad opera del c.d. “Decreto Competitività” (D.L. 24 giugno 2014, n. 91), che all’art. 31 si prefiggeva di sancire la perdurante efficacia della Delibera CICR 9 febbraio 2000 sino all’entrata in vigore di quella successiva: tale tentativo è però naufragato, non essendo stata introdotta tale previsione nella legge di conversione (L. 11 agosto 2014, n. 116).
Da ultimo, infine, la Delibera CICR 9 febbraio 2000 è stata superata dal D.M. 3 agosto 2016, n. 343, emanato dal Ministro dell’Economia in qualità di presidente del CICR, il quale, all’art. 5, prevede che gli intermediari si adeguino alle disposizioni del medesimo decreto, al più tardi, con riferimento agli interessi maturati a partire dal 1° ottobre 2016.


    [1] In particolare, è stato riconosciuto l’uso di una diversa capitalizzazione degli interessi (trimestrale per gli interessi a debito del cliente e annuale per gli interessi a credito dello stesso). Per la giurisprudenza, si vedano, ex multis: Cass., 15 dicembre 1981 n. 6631, in Riv. Dir. Comm., 1982, II, pag. 89 e Cass., 5 giugno 1987, n. 4920, in Foro it., 1988, I, p. 2352.
    [2] Cfr. Cass., 16 marzo 1999, n. 2374, in Foro it., 1999, I, p. 1153, con nota di PALMIERI, PARDOLESI; in Corr. Giur., 1999, p. 562, con nota di CARBONE; in Contratti, 1999, p. 437, con nota di DE NOVA. Sul punto si veda anche Cass., 4 novembre 2004, n. 21095, in Giur. It., 2005, pp. 66 e 741, secondo cui, molto chiaramente: “le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare”.
    [3] Negli stessi termini, si veda anche, successivamente, Cass., 25 febbraio 2005, n. 4093, in Mass. Giust. Civ., 2005.
    [4] Conformi, successivamente: C. App. Torino, 23 febbraio 2012; Cass., 3 settembre 2013, n. 20172; Cass., 6 maggio 2015, n. 9127. Più di recente, si veda: Cass., 17 agosto 2016, n. 17150, in Diritto & Giustizia 2016, 1 settembre, con nota di R.BENCINI, “Anatocismo e usura: clausole vecchie e nuova normativa”.
    [5] L’attuale formulazione dell’articolo in esame consegue alla novella introdotta dall’art. 17-bis D.L. 14 febbraio 2016, n. 18.
    [6] Così, fra gli altri: V.FARINA, “Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2000”, in www.dirittobancario.it, ottobre 2014; A.A.DOLMETTA, “Sopravvenuta abrogazione del potere bancario di anatocismo”, in BBTC, fasc. 3, 2015, pag. 277 ss.; S.PASETTO, “Giurisprudenza e attualità in materia di diritto commerciale. Divieto di anatocismo bancario: da mito a solida realtà (sul piano teorico)”, in Riv. Dei Dottori Commercialisti, fasc. 2, 2015, pag. 233 ss.; per la Giurisprudenza, si vedano le due ordinanze collegiali del Tribunale di Milano, del 25 marzo e del 3 aprile 2015 (Presidente Dott.ssa Laura Cosentini, Giudice relatore Dott.ssa Silvia Brat), che hanno sostenuto come il nuovo divieto assoluto di anatocismo bancario sia da intendersi già in vigore sin dal 1° gennaio 2014; l’orientamento è stato successivamente confermato dal medesimo Tribunale di Milano, con provvedimento del 29 luglio 2015 (Giudice Dott.ssa Monte).