Da quindici anni anni assistiamo alle periodiche escogitazioni di espedienti giuridici, da parte di associazioni bagnini e governo italiano, per “uscire dalla direttiva Bolkenstein” - ovvero dal principio comunitario della libera concorrenza in materia di servizi: “uscita” che favorirebbe gli attuali concessionari di demanio marittimo; i quali, detenendo in esclusiva l’arenile da decenni in virtù di “proroghe delle proroghe”, hanno assunto habitus mentale di proprietari: cosa che ovviamente non sono.  
E’ intuitivo che, ostacolare l’avvicendamento a nuovi aspiranti meritevoli, impedendo loro ogni “chance partecipativa”, non solo ingessa la libera concorrenza delle imprese, ma alla lunga determina anche stasi creativa: da quanti decenni non vediamo sorgere idee nuove e nuove fruizioni nel litorale romagnolo?
Di volta in volta, a tutela dell’inamovibilità dei concessionari, sono state avanzate argomentazioni giuridiche infondate quali: la “non rilevanza comunitaria” delle spiagge; il fatto che le concessioni di spiaggia riguardano i “beni” e non i “servizi”, i quali soli sarebbero ricompresi nella direttiva (le concessioni al contrario riguardano la gestione di beni per un servizio pubblico, perfettamente rientrante nell’ambito della direttiva);  la presunta impossibilità per i giudici italiani di “disapplicare” la direttiva contrastante con la legislazione italiana di proroga (si tratta invece di direttiva “self executing” quindi con efficacia immediatamente precettiva nei suoi contenuti prescrittivi); la “specificità italiana” (visione evidentemente italocentrica)   ecc.  Tutti questi argomenti sono stati costantemente respinti e rintuzzati dalla giurisprudenza sia italiana sia comunitaria. Ad oggi, l’ultima illusione dei bagnini riguarda il fatto – di per sè vero - che l’obbligo di indire procedure aperte selettive e paritarie è effettivo solo quando vi sia “scarsità della risorsa”, ovvero scarsità di arenili suscettibili di nuove concessioni. Una volta verificato che invece c’è ancora abbondanza di spiagge disponibili, si uscirebbe dalla Bolkenstein e gli enti locali non sarebbero costretti a rimettere a gara le attuali concessioni, essendo vincolati a mettere a gara solo i residui tratti demaniali oggi privi di stabilimenti.  Sospinto da questa illusione, il governo durante l’estate si è affrettato a censire i tratti di arenili liberi, “scoprendo” che, su 3346 km di di arenili sabbiosi (circa la metà rispetto al totale delle coste), solo il 43% è attuamente sfruttato. Rimarrebbero liberi circa 1900 km di costa sabbiosa, fra cui le zone ad alto valore ambientale. Nella mente dei politici, non essendovi “scarsità” di spiagge libere, non ci sarebbe bisogno di disturbare gli attuali concessionari, e i nuovi aspiranti bagnini potrebbero benissimo andare a colonizzare i tratti liberi oggi marginali. Questa tesi è giuridicamente e politicamente avulsa.
In primo luogo, nessuno vorrebbe vedere sparire le ultime spiagge ancora libere da ombrelloni. Queste spiagge o sono di difficile accesso e utilizzabilità, o comunque rappresentano una diversa fruizione, più libera e meno bisognosa di servizi spesso non richiesti.
In secondo luogo, a dar seguito a tale tesi, assisteremmo all’inaudita creazione di un sistema concessorio duale, con bagnini di “serie A” e  bagnini di “serie B”: apparterrebbero alla “serie A” tutti gli attuali bagnini, ben poltronati sulle aree più pregiate, che sarebbero esonerati dalle procedure selettive e potrebbero continuare a trasferire il proprio feudo ai discendenti (o a soggetti provvisti di cospicuo capitale); apparterrebbero alla “serie B” i nuovi aspiranti, per i quali varrebbe il principio della “scarsità”, e quindi la riassegnazione periodica a gara, per poter occupare tratti di arenile meno appetibili, comunque a tempo determinato.  L’inamissibilità di un tale scenario mi sembra evidente.
In ultimo, è sbagliato il presupposto giuridico stesso del ragionamento del governo. Il concetto di “scarsità della risorsa”, nel diritto europeo, non è concetto quantitativo-fenomenologico, bensì giuridico: e nel diritto della concorrenza, una risorsa (o un bene) è “scarsa” quando non è suscettibile di consumo illimitato, o di utilizzazione contemporanea da un numero illimitato di operatori. In questo senso, così come il petrolio (anche se apparentemente illimitato), è “risorsa scarsa” l’arenile italiano per la semplice ragione che non è possibile rilasciare concessioni (dello stesso valore oggettivo) a un numero illimitato di bagnini. Quindi, non è questione di chilometraggi: gli arenili sabbiosi sono scarsi per definizione.
Piuttosto che continuare a pascersi di illusioni, traccheggiando sull’attesa infinita di un “chiarimento normativo”, governo ed enti locali dovrebbero affrettarsi a predisporre una regolamentazione chiara e moderna delle concessioni, per poi indire “gare” in un quadro certo di diritti e doveri. 
Avv.Enrico Gorini