Nel mio precedente approfondimento, mi sono soffermato sul procedimento di determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione regolato dall’art. 21 del D.P.R. n. 327/2001, evidenziando come la fase conclusiva dell’iter procedimentale per la stima di secondo grado si esaurisca nel deposito della relazione peritale presso gli uffici dell’Autorità espropriante, la quale, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, notizierà gli interessati dell’avvenuto deposito.

Giunti a questa fase, entro 30 giorni decorrenti dalla suddetta comunicazione, possono verificarsi le seguenti tre ipotesi:

1) il proprietario accetta in modo espresso l’indennità risultante dalla relazione ed essa non viene contestata né dall’ente espropriante né dal beneficiario dell’espropriazione; sicchè  l’indennità diventa definitiva e l’autorità espropriante ne autorizza il pagamento.

2) l’indennità stimata non viene accettata espressamente dal proprietario ma neppure contestata giudizialmente da alcuno degli interessati.

Anche in tale evenienza l’indennità diviene definitiva e l’Autorità espropriante ordina il deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell’eventuale maggiore importo della stessa.

3) l’indennità stimata è fatta oggetto di opposizione giudiziale davanti alla Corte di Appello.

In tal caso, se l’azione è stata promossa dall’ente espropriante o dal beneficiario, non si procederà ad alcun deposito dell’indennità, mentre se la contestazione giudiziale è stata avanzata dal solo proprietario, e non vi sia stata tempestiva domanda riconvenzionale da parte dei soggetti resistenti, si dovrà procedere al deposito.

Questa terza ipotesi introduce l’istituto dell’opposizione giudiziale alla stima come disciplinato dall’art. 54 T.U. in materia di espropri, di recente modificato dall’art. 29 del D.Lgs. n. 150/2011 a mente del quale “Le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima di cui all’articolo 54 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.

È competente la corte di appello nel cui distretto si trova il bene espropriato.

L’opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio. Il termine è di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Il ricorso è notificato all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell’espropriazione. Il ricorso è notificato anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità”

La novella impone alcune considerazione critiche di sistema non prima però di una brevissima disamina dell’istituto in esame.

Il giudizio di opposizione alla stima rientra nell’alveo di quelle ipotesi di competenza funzionale della Corte di Appello come giudice di primo ed unico grado esplicitamente previste da leggi speciali, abilitate, per così dire, a derogare in via eccezionale al principio del doppio grado di giurisdizione, non essendo quest’ultimo un valore di rango costituzionale (cfr. Corte Costituzionale, sent. n.69/1982 e sent. n. 52/1984)

Va da sé che la pronuncia resa dalla Corte di Appello è comunque ricorribile in Corte di Cassazione con ricorso ordinario.

La competenza territoriale appartiene alla Corte nel cui distretto ricade il bene espropriato ed il termine decadenziale dell’azione, come già accennato, è di trenta giorni decorrenti dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se successiva a quella dell’atto ablativo oppure dalla comunicazione di cui all’art. 27 del T.U. in tema di perizia di stima licenziata dalla terna peritale di cui all’art. 21 T.U. o dalla Commissione Provinciale Espropri.

Orbene, fornita questa premessa, giova evidenziare la prima novità che l’art. 29 del D.L. n. 150/2011 introduce rispetto all’originaria previsione dell’art. 54 T.U.

Trattasi di una novità afferente alla forma dell’atto introduttivo del giudizio.

Se, difatti, nel previgente sistema, l’opposizione alla stima doveva essere proposta mediante atto di citazione notificato alla/e controparte/i, dalla data di entrata in vigore della novella sulla semplificazione dei riti, ovvero dal 6.10.2011, il giudizio dovrà essere incoato attraverso la figura del ricorso prevista dall’art. 702 bis c.p.c., figura, a dire il vero, alquanto ibrida poiché presenta elementi propri del ricorso e caratteristiche immanenti all’atto di citazione.

Del primo condivide il meccanismo introduttivo del giudizio tramite presentazione del ricorso, formazione del fascicolo d’ufficio, designazione del magistrato affidatario della trattazione del procedimento, fissazione con decreto dell’udienza di comparizione delle parti, assegnazione del termine per la costituzione del convenuto non oltre 10 giorni prima dell’udienza e necessità che l’attore-ricorrente opponente notifichi al resistente-convenuto opposto il ricorso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza almeno 30 giorni prima della data fissata per la costituzione di quest’ultimo.

Del secondo condivide, invece, il contenuto ovverosia gli elementi propri ed indefettibili di una vera e propria vocatio in jus.

E’ proprio tale novità che spiana il campo all’analisi della seconda modifica di non poco conto, ad essa strettamente consequenziale.

Mi riferisco, in dettaglio, all’assoggettamento del procedimento alle forme del rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e 702 ter c.p.c. nell’ottica di una enunciata voluntas legis  di accelerazione del processo.

Al di là del lodevole intento, si tratta di un sistema della cui effettiva utilità può ampiamente dubitarsi sin d’ora, stante l’improbabilità di un abbinamento fra procedimento e rito che, all’operatore del diritto che ben conosce i relativi termini e le relative modalità applicative, riporta alla mente lunghissime attese per l’emanazione dei provvedimenti giudiziali e per la fissazione della trattazione rispetto a quelli “rapidi”riportati sulla carta.

Tradotto in soldoni: come si concilia con il rito sommario un procedimento che si svolge in corte di appello e quindi necessariamente in forma collegiale, con pressoché ovvio ricorso al rito ordinario soprattutto in relazione alle indifferibili esigenze peritali dell’opposizione alla stima?

Già la prima palese stonatura è rimessa all’ambito applicativo del procedimento sommario definito dall’incipit dell’art. 702 bis c.p.c a tenore del quale tale modello processuale può essere adottato “nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica”, mentre il comma 2 sanziona con l’inammissibilità la domanda che sia estranea a questo ambito!

A ciò si aggiungano l’indifferibilità di un’istruzione completa e non sommaria in materia di giudizio di stima e il suo stridore con la previsione di un provvedimento conclusivo in forma di  ordinanza, cioè caratterizzato da una motivazione semplificata sottratta allo schema di cui all’art. 132 c.p.c.

Certo si può prospettare che siffatti aspetti critici possano essere risolti attraverso la via di fuga rappresentata dal mutamento del rito di cui all’art. 702 ter, comma 4, a memoria del quale se il giudice ritiene che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria fissa, con ordinanza non impugnabile, l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c ed il giudizio prosegue nelle forme ordinarie con eventuale assegnazione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, e definizione del procedimento, all’esito dell’espletamento dell’istruttoria, con sentenza.

Ma se questo accadrà, come appare probabile, con frequenza sistematica in seno al giudizio di opposizione alla stima, segnatamente perché le questioni rappresentate dalle parti nei rispettivi atti richiedono un’istruttoria incompatibile con le esigenze di celerità e speditezza processuale che animano il rito sommario, non sorgerà spontaneo dubitare della reale utilità della novella in questo ambito giudiziale?