Lo strumento fondamentale idoneo a rendere verificabili le potestà pubbliche è rappresentato dal procedimento amministrativo, o meglio, per dirla in termini più speculativi, dalla procedimentalizzazione dell'esercizio delle attività amministrative, si esprimano esse o meno in potestà pubbliche.
La nozione di "procedimento amministrativo", sul solco della tradizionale distinzione fra processo e procedimento, muove dall'esigenza di superamento della concezione del provvedimento amministrativo come atto composto e dalla necessità "democratica" di dare dignità alla varietà degli interessi coinvolti dalle sequenze di atti attraverso i quali si forma un provvedimento.
Tuttavia, in tale sede, al di là del mero dato nozionistico, giova suffermarsi sul dato normativo costituito dalle disposizioni che la legge n. 241/90, oggetto di innumerevoli ritocchi, dedica al tema con particolare riguardo all'introduzione della figura del responsabile del procedimento.
Il primo comma dell'art. 5, al riguardo, assume una rilevanza, per così dire, "sovversiva" del pregresso sistema procedimentale ove statuisce che il dirigente di ogni unità organizzativa debba provvedere ad assegnare ( a sè oppure ad altro dipendente addetto all'unità) la responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento, compresa, in via eventuale, l'adozione del provvedimento finale.
La portata sovversiva cui si accennava è rappresentata dalla considerazione che, prima dell' entrata in vigore della legge n. 241/90, la fase istruttoria si svolgeva in condizioni di anonimato secondo regole ignote al privato (ed il più delle volte, nemmeno conoscibili da questi) nonchè sottratte al sindacato giurisdizionale.
L'introduzione della figura in esame non solo esprime un profilo garantisco innovativo ed appropriato alla fase istruttoria ma rappresenta altresì l'interfaccia dell'apparato amministrativo con la collettività.
Peraltro, l'obbligo di designazione del responsabile del procedimento individua una situazione di vantaggio insopprimibile in capo all'amministrato in linea con la previsione contenuta nell'art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione nell'ambito della determinazione legislativa dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Non a caso, d'altronde, la nomina del responsabile del procedimento attribuisce carattere personale all'esercizio della funzione amministrativa superando, finalmente, il limite dato dalla impersonalità degli uffici e costituisce il presupposto necessario a rendere operativo il disposto di cui all'art. 28 Cost., che configura il principio della responsabilità diretta dei funzionari pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti dei terzi.
Ciò premesso, appare rilevante l'enunciazione che l'art. 6 fa dei compiti che il responsabile del procedimento è chiamato a svolgere, quali: la valutazione ai fini istruttori delle condizioni di ammissibilità, dei requisiti di legittimazione e dei presupposti per l'emanazione del provvedimento; l'accertamento, anche ex officio, dei fatti ed il compimento degli atti all'uopo necessari nonchè l'adozione di ogni misura adeguata al sollecito svolgimento dell'istruttoria; l'indizione delle conferenze di servizi previste dall'art. 14; la cura delle comunicazioni delle pubblicazione e delle modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; ed, inoltre, l'adozione, sempre che ne abbia la competenza, del provvedimento finale ovvero la trasmissione degli atti all'organo competente per l'adozione.
Sotto quest'ultimo aspetto, va ricordata la novità introdotta dalla legge di riforma n. 15/2005 la quale prevede l'obbligo per il dirigente competente ad adottare il provvedimento conclusivo di non discostarsi, senza specifica motivazione, dalle risultanza dell'istruttoria compiuta e coordinata dal responsabile del procedimento. E' innegabile, che, con ciò, si è inteso assegnare maggiore forza ed autonomia alla fase istruttoria del procedimento rispetto a quella decisoria, segnando nella prima il baricentro dell'attività amministrativa.
Ci si chiede, infine, se possano trovare applicazione anche in ordine al ruolo ed alle funzioni del responsabile del procedimento gli istituti di matrice processuale ( e non procedimentale) dell'astensione e della ricusazione.  A tale proposito è opportuno rimarcare in linea con la giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sent. n. 1022/2001) che  costituisce principio generale del procedimento amministrativo quello per cui ogni soggetto direttamente od indirettamente interessato al provvedimento da adottare deve necessariamente astenersi dal partecipare alla formazione dello stesso, perché si verrebbe altrimenti a determinare una (almeno potenziale) situazione di conflitto di interessi, dovendo presumersi che non possa determinarsi con la serenità e l'imparzialità richieste. E pertanto l'istituto dell'astensione obbligatoria, in quanto principio di carattere generale da riconoscersi anche alla luce del disposto normativo di cui all'art. 97 della Costituzione, trova applicazione indipendentemente da un'espressa previsione nel contesto della normativa disciplinante l'esercizio dell'attività dello specifico organo amministrativo, e qualunque sia la natura del predetto organo, individuale o collegiale, di amministrazione attiva, di controllo o consultiva. D’altronde, il connotato di imparzialità dell’azione amministrativa consacrato nell’art. 97 Cost. costituisce principio di ordine generale, insuscettibile di compressione a cui va ricondotta la “ratio” dell’obbligo di astensione del pubblico funzionario come chiarito dal Consiglio di Stato a ragione del quale “la "ratio" dell'obbligo di astensione del pubblico funzionario, già stabilito con l'art. 290 t.u. com. prov. 1915, va ricondotta al principio costituzionale dell'imparzialità dell'azione amministrativa, per cui costituisce regola tanto ampia quanto insuscettibile di compressione alcuna e un principio di civiltà giuridica ne esige l'applicazione quando esiste un collegamento tra deliberazione ed interesse del votante, pur quando la votazione non possa avere un altro apprezzabile esito o quando anche tale scelta sia in concreto la più utile ed opportuna per l'interesse pubblico” (Consiglio di Stato, sez. IV, 22/02/1994, n. 162)