Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Sezione lavoro n. 24717 del 23 novembre 2011) offre uno spunto di riflessione sulla annosa vicenda della individuazione della competenza per territorio, nelle controversie tra informatori scientifici dipendenti ed aziende farmaceutiche che, ancora oggi, molti giudici di merito continuano ad interpretare, senza convincenti argomentazioni, in maniera difforme all’orientamento dei giudici di legittimità, declinando la competenza a favore del Giudice ove si trova la sede aziendale.

Nella fattispecie in esame, una  dipendente di una nota azienda farmaceutica, con sede legale in Roma, si rivolgeva al Tribunale di Venezia, deducendo di aver svolto la sua attività lavorativa nel Triveneto come "area manager", incaricata di coordinare l'informazione scientifica del farmaco, operando e coordinando la sua attività dalla sua abitazione di Venezia e utilizzando materiale aziendale ivi collocato (computer, stampante con linea adsl). Concluso il rapporto di lavoro, la lavoratrice chiamava in giudizio la società, come detto, davanti al Tribunale di Venezia, in funzione di Giudice del Lavoro.

La società eccepiva l’incompetenza per territorio rilevando  che la sede legale si trovava a Roma, ove era sorto il rapporto di lavoro e che essa non aveva nessuna dipendenza a Venezia. Il Giudice veneziano, accogliendo la proposta eccezione, dichiarava la competenza territoriale del Tribunale di Roma.

La lavoratrice interessata, con articolato ricorso e contestando le motivazioni del primo giudice, proponeva regolamento di competenza innanzi alla Corte di Cassazione, ribadendo che la sua abitazione, completa del materiale ivi utilizzato, fornito dal datore,  doveva ritenersi una dipendenza aziendale e che pertanto l’azione ben poteva essere proposta davanti al Tribunale di Venezia, territorialmente competente.

La Suprema Corte, con la richiamata sentenza ed in linea con altri autorevoli precedenti, accoglieva il ricorso, dichiarando la competenza del Tribunale di Venezia, osservando che l’art. 413, primo comma, c.p.c., individua il giudice territorialmente competente per le controversie di lavoro indicando tre fori speciali alternativi: il luogo in cui è sorto il rapporto, quello in cui si trova l'azienda, quello in cui si trova la dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore.

Il problema interpretativo nel caso in esame, come già ripetutamente prospettato in analoghe controversie proprio tra informatori dipendenti  e case farmaceutiche è quello di stabilire cosa debba intendersi per dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore.

E il giudice di legittimità ha riconosciuto che per dipendenza aziendale  è necessario dare una interpretazione estensiva. In primo luogo, perché ormai da tempo l’evoluzione dell'organizzazione del lavoro tende a rendere elastico il rapporto tra lavoro e luoghi e strutture materiali, evidenziando che molti lavori, specie nei servizi, vengono svolti fuori dai luoghi tradizionali, con l’ausilio di pochi mezzi e strumenti materiali, peraltro forniti dalle aziende.  Altro motivo riguarda la ratio dell’art. 413 c.p.c. se solo si considera che il legislatore del 1973, con la legge di riforma n. 533, concepiva le regole sulla competenza territoriale del giudice del lavoro, sotto la spinta di un favor di coniugare il rispetto del principio del giudice naturale con la possibilità di rendere il meno difficoltoso possibile l’accesso alla giustizia del lavoro.

Negli stessi termini, con interessante e completa motivazione, si pronunciava la Suprema Corte (Cass. Sez. lavoro 16 novembre 2010 n. 23110) laddove emergeva che una informatrice scientifica  conveniva in giudizio le società farmaceutiche, cedente e cessionaria,  dinanzi al giudice del lavoro di Reggio Calabria per la pronunzia di illegittimità della cessione di ramo d'azienda intervenuta tra la prima e la seconda e la conseguente illegittimità della cessione del suo contratto di lavoro, con mantenimento del rapporto lavorativo.

Eccepita dalle convenute l’incompetenza per territorio dell’adito Tribunale in favore di quello di Milano, ove si trovavano le sedi delle aziende, il giudice dichiarava la propria incompetenza per territorio, atteso che il contratto di lavoro risultava perfezionato in (omissis) e che, in relazione, all'attività svolta (informatrice scientifica di prodotti medicinali) non risultano esistenti nel circondario strutture tali da far ritenere che in loco sia presente una dipendenza aziendale. La lavoratrice proponeva rituale  istanza di regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c. sostenendo che la dipendenza aziendale era costituita presso la sua abitazione - sita in località ricadente nel circondario di Reggio Calabria - che era stabile punto di riferimento in loco del datore di lavoro, avendo questi a proprie spese: a) collegato la stessa con la propria sede mediante impianto adsl, b) costituito in un locale ad essa annessa un deposito di prodotti farmaceutici appositamente attrezzato, c) posto a disposizione della dipendente beni aziendali (telefono cellulare ed auto di servizio) per consentire il rapido collegamento con la dipendente e gli spostamenti della stessa nella zona di competenza specifica (sita in territorio di Reggio Calabria).

La Corte, nel riformare la sentenza del giudice di merito ed accogliendo le ragioni prospettate dalla lavoratrice, con articolata motivazione statuiva : l’art. 413 c.p.c., per la parte che qui interessa, prevede che "competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto" (comma 2). Sono, dunque, previsti tre fori speciali (quello in cui è sorto il rapporto, quello dell'azienda e quello della dipendenza cui il lavoratore è addetto) di carattere alternativo, senza che alcuno di essi assuma valore esclusivo o prevalente. Nella specie, parte ricorrente, ha fatto riferimento al criterio della dipendenza.

La giurisprudenza della Corte di cassazione ha enucleato una nozione particolarmente ampia del concetto di dipendenza aziendale, in quanto ha ritenuto che esso, non solo non coincide con quello di unità produttiva contenuto in altre norme di legge, ma deve intendersi in senso lato, in armonia con la mens legis, mirante a favorire il radicamento del foro speciale del lavoro nel luogo della prestazione lavorativa. Condizione essenziale, però, è che l'imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, di modo che costituisce dipendenza aziendale ogni complesso decentrato di beni dell'azienda, per quanto di esigue dimensioni, che sia munito di propria individualità tecnico - economica e destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali; non rilevando in contrario che a quel nucleo sia addetto un solo lavoratore nè che i relativi locali o attrezzature, utilizzati dall'imprenditore, siano di proprietà di un terzo anziché dell'imprenditore stesso (Cass. 8.1.96 n. 67 e altre sentenze conformi, tra le quali v. da ultimo Cass. 21.1.10 n. 1018 e 4.6.04 n. 10691).

In questa ricostruzione il punto essenziale e discriminante è costituito dalla circostanza che sia stato l'imprenditore a procedere alla destinazione aziendale, nel senso che egli, per sua consapevole scelta abbia indirizzato un pur modesto complesso di beni di sua o di altrui proprietà all'esercizio dell'attività imprenditoriale, ivi collocando il lavoratore per lo svolgimento dell’attività concordata. Per definizione, infatti, la caratterizzazione di "bene aziendale" è estensibile solo a quei beni che siano stati individuati come tali dall'imprenditore.

<<Nel caso di specie, dovendosi la questione di competenza decidere "in base a quello che risulta dagli atti" (art. 38 c.p.c., comma 3), deve rilevarsi che la C. sostiene che presso la sua abitazione in Reggio Calabria esistono: a) un complesso di beni aziendali strumentali all'esercizio dell’attività di impresa, costituito da un elaboratore di dati fornito dalla società convenuta, con il quale mediante collegamento telefonico dedicato installato a cura della stessa è possibile l’accesso all'archivio aziendale, b) un locale - deposito opportunamente attrezzato dal datore di lavoro per la conservazione dei prodotti farmaceutici. Sostiene, ancora, la ricorrente che la propria abitazione costituisce il punto di riferimento di tutti i rapporti intersoggettivi esistenti tra di lei ed il datore di lavoro, in quanto è quello il luogo in cui sono convogliati tutti i dati di carattere amministrativo ed informativo a lei pertinenti.

Il giudice di merito, nel ritenere fondata l'eccezione di incompetenza, ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 13447 del 2009 che, facendo riferimento a fattispecie analoga di informatore scientifico che assumeva che presso la sua abitazione era presente una dipendenza aziendale, riteneva inidonea la dislocazione dei beni ivi presenti a qualificare gli stessi "beni aziendali". Il Collegio in quella circostanza giungeva a tale conclusione sulla base di un apprezzamento della fattispecie esaminata.

Nel caso odierno, la valutazione delle circostanze di fatto (consentita in questo caso al giudice di legittimità, v. tra le altre Cass. 28.3.07 n. 7586 e 24.8.07 n. 18040) porta a conclusioni diverse, in quanto l'assunto di parte ricorrente - risultante dagli atti essendo posto a base di alcuni capitoli di prova sottoposti dall'attrice al giudice del lavoro (e quindi conoscibili perchè influenti sulla competenza) - costituisce circostanza sufficiente a ritenere, nei limiti consentiti per la decisione della istanza di regolamento, che sussista una "dipendenza" come sopra intesa in territorio di Reggio Calabria, ove la C. svolge la sua prestazione ed a legittimare la competenza del giudice del lavoro adito. A differenza che nel precedente caso, infatti, si assume che il soggetto datore avesse fornito e collocato in un locale messo a disposizione dalla ricorrente "armadi e frigoriferi" per la conservazione dei campioni medicinali da sottoporre ai medici, il che da corpo a quella minima organizzazione che, nei termini e nei limiti sopra precisati, integra gli estremi della dipendenza aziendale>>.

<<Circa l'obiezione mossa dalle società resistenti a proposito della mancanza di prova definitiva sulle circostanze sopra segnalate, deve rilevarsi che la competenza va determinata sulla base all'oggetto della domanda proposta dall'attore e dell'esposizione dei fatti posti a fondamento della stessa (a meno che non risulti evidente un'artificiosa allegazione diretta allo scopo di sottrarre la causa al giudice precostituito per legge), mentre rimangono irrilevanti le contestazioni al riguardo formulate dal convenuto e, specificamente, le sue contrarie prospettazioni dei fatti (v. da ultimo Cass. 17.5.07 n. 11415, nonchee Cass. 4.8.05 n. 16404 e 30.4.05 n. 9013), ferma restando l'eventuale assunzioni di sommarie informazioni ai sensi dell'art. 38 c.p.c. Dunque, la decisione ai fini della competenza deve essere adottata in base a quanto risulta dagli atti, senza assunzione di prove orali ma, eventualmente, sulla scorta dell'esperimento di sommarie informazioni, ove necessario (ed ove il giudice ritenga di farvi ricorso), e quindi, come non è censurabile la mancata ammissione delle prove costituende, così le prove precostituite sono suscettibili di valutazione solo se già presenti agli atti (v. in termini generali Cass. 6.3.07 n. 5125)>>.

Sulla base di tali argomentazioni, dunque, la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso cassava la sentenza dichiarava la competenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria.

Solo per completezza di trattazione  appare utile riportare un particolare intervento di un Giudice di merito (Tribunale di Torino 11 gennaio 2011 n.6) chiamato a valutare  la eccezione di incompetenza per territorio proposta dalla causa farmaceutica, costituitasi nel giudizio promosso da un informatore scientifico.

Il Giudice, con la indicata motivazione,  statuiva : <<la preliminare eccezione di incompetenza per territorio sollevata da parte convenuta si è rivelata infondata all'esito delle informazioni testimoniali assunte sul punto all'udienza del 5/05/2010, che hanno confermato la sussistenza, presso il domicilio in Torino del ricorrente, dei requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini del radicamento della competenza territoriale in specifico riferimento all'attività di informatore scientifico; in effetti, la Suprema Corte ha precisato, in fattispecie analoga, che "Ai fini della competenza territoriale nelle controversie di lavoro, la nozione di "dipendenza"alla quale è stato o è addetto il lavoratore ricorrente - richiamata dal secondo comma dell'art. 413 cod. proc. civ. per l'ipotesi del rapporto di lavoro subordinato privato - deve essere interpretata in modo conforme al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), tenendo conto, come termini di comparazione, del criterio del domicilio (previsto dal successivo quarto comma per i rapporti di agenzia e di parasubordinazione) e del criterio della sede di lavoro (contemplato dal quinto comma della medesima disposizione per i rapporti di lavoro pubblico) e pertanto comprende anche l'abitazione del dipendente che si configuri come una elementare terminazione dell'impresa costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l'espletamento della prestazione lavorativa (quali, nella specie, il computer, la modulistica, il materiale pubblicitario, nonché i "campioni" di medicinali utilizzati dal dipendente per lo svolgimento, in posizione di subordinazione, dell'attività di informatore scientifico di farmaci)" (Cass. n. 10691/04) - e si tratta esattamente di quanto accertato ed emerso in sede di 'microistruttoria' ex art. 38, co. 4, c.p.c.>>.

Anche tale intervento appare di sicuro interesse ed utile ai fini dell’approfondimento della questione della competenza per territorio, nelle controversie tra informatori scientifici e case farmaceutiche, individuando il foro ove risiede il lavoratore allorché risulti dimostrato che l'imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, di modo che costituisce dipendenza aziendale ogni complesso decentrato di beni dell'azienda, per quanto di esigue dimensioni, che sia munito di propria individualità tecnico-economica e destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali; non rilevando in contrario che a quel nucleo sia addetto un solo lavoratore né che i relativi locali o attrezzature siano di proprietà di un terzo anziché dell'imprenditore stesso.

Ottavio PANNONE

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