I giudici della Corte di Cassazione, in tema di disposizioni antielusive – previste nel nostro ordinamento dall’art. 37 bis, D.P.R. 600/73 – hanno sancito che per “ritenere verificata un’ipotesi di abuso di diritto […] è necessario che gli atti diretti ad ottenere vantaggi fiscali con l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario siano privi di valide ragioni economiche”.

In altre parole, si può ritenere implicitamente concretizzata la mancanza di un'idonea ragione economica, laddove rappresenti – rebus sic stantibus - l’unico motivo dell’aggiramento della norma tributaria, ovvero quello di conseguire un vantaggio fiscale, indipendentemente dal suo valore effettivo e dal modus operandi dell'operazione elusiva.

Il concetto di “valida ragione economica” ed onere della prova.

In effetti, l’art. 37 bis, in tema di integrazione della nota fattispecie, richiama il concetto di assenza “di valide ragioni economiche”: come illustrato nella relazione governativa al D. Lgs. N° 358/97 e nella C.M. n° 320/E del 19.12.97, l’espressione in esame non sottintende una “validità giuridica” della condotta, ma una “apprezzabilità economico-gestionale1.

Succintamente, l’argomentazione avanzata dalla C.T.R. dell’Emilia Romagna (la cui sentenza era stata successivamente impugnata dal contribuente soccombente) rinvia al seguente principio, ossia il “discrimine” tra un’attività lecita ed una invece elusiva consiste nella circostanza che la seconda è compiuta essenzialmente (ed esclusivamente) per il conseguimento di un vantaggio economico tributario e, di conseguenza, esclude la presenza di una valida ragione economica.

A ben vedere – a mente dell'orientamento giurisprudenziale citato – qualora l'operazione (fiscalmente rilevante) effettuata dal soggetto passivo ha – come unica ratio – quella di voler conseguire un risparmio fiscale, ricade su quest'ultimo l’onere di provare l'effettiva esistenza delle suddette ragioni economiche2.

La sentenza in commento pone pertanto l’accento – come menzionato nel capoverso pregresso – sulla questione circa l'onere della prova: al fine di comprovare la condotta prevista dall’art. 37 bis, non grava alcun onere probatorio sull’Amministrazione Finanziaria, ovvero la medesima non deve dimostrare (in forza del proprio “impianto accusatorio”) l’assenza di valide ragioni economiche, essendo queste poste nell’aggiramento della normativa fiscale, predisposto univocamente ad ottenere un vantaggio fiscale.

A ciò si aggiunga che la recente pronuncia rappresenta un vero e proprio spartiacque “deleterio” per la difesa in giudizio del contribuente, difatti in precedenza la giurisprudenza aveva statuito che l'Ufficio:

  • deve dimostrare gli elementi di fatto e di diritto sui cui si basa la potenziale fattispecie elusiva;

  • per riqualificare gli effetti fiscali di determinate operazioni economiche deve provare la natura fittizia, simulata o elusiva degli stessi3;

  • quale sarebbe stato l'utilizzo corretto delle forme giuridiche poste in essere;

  • in che modo il comportamento del contribuente ne costituisca un aggiramento4;

Si osserva – in conclusione – che, secondo il richiamato pensiero della Suprema Corte, spetta al contribuente l'onere di dimostrare il reale scopo economico (opponibile all'Amministrazione Finanziaria) della propria operazione, ma tuttavia il Fisco “non potrà limitarsi ad una mera e generica affermazione, ma dovrà individuare e precisare gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l'operazione priva di reale contenuto economico diverso dal reale risparmio d'imposta5.

I principi indicati nel D. Lgs. N° 358/97.

Ad ogni buon conto, l’orientamento estremamente rigoroso applicato dalla giurisprudenza di legittimità nel caso in rassegna, si contraddistingue (rispetto al passato) da un’inversione di marcia pro amministrazione, rispetto alle indicazioni presenti nel citato D.Lgs. n° 358/97.

Difatti nel decreto menzionato viene precisato che non può realizzarsi l'aggiramento di norma fiscale, nei casi in cui il contribuente si limita a scegliere “tra due alternative” (equamente legittime e paritarie) messe a disposizione da parte dell’ordinamento vigente.

Ma non solo: la norma antielusione – sempre alla luce dei principi enunciati dal D, Lgs. n° 358/97 – non può quindi vietare la scelta “tra una serie di possibili comportamenti cui il sistema fiscale attribuisce pari dignità, di quello fiscalmente meno oneroso”.

In particolare, in tutti questi casi “la scelta della via fiscalmente meno onerosa non è implicitamente vietata dal sistema, ma al contrario esplicitamente o implicitamente consentita e non è configurabile alcun aggiramento di obblighi o divieti”.

Conclusioni

In conclusione, la motivazione della sentenza in rassegna (ossia se l'aggiramento della norma tributaria è rappresentata sostanzialmente dalla volontà di ottenere un risparmio d'imposta, la condotta del contribuente sarà ritenuta censurabile) suggerisce un drastico cambio rotta, sia alla luce di quanto prevede il D.Lgs. n° 358/97, sia in virtù della sentenza n° 1372 del 21 gennaio 20116.

La Corte di Cassazione (nella sentenza in esame) ha posto le basi per una corrente di pensiero inflessibile nei confronti del contribuente, soprattutto se rapportato alla libertà economica degli operatori economici (costituzionalmente garantita)7.

Alla luce di quanto illustrato, sorge l’esigenza di restituire dignità alla legittima aspirazione di minimizzare il carico fiscale dell'attività di impresa, ossia – per evitare una censurabile invasione di campo dello Stato ai danni della libertà del cittadino8 – il sindacato del Fisco non può spingersi sino ad imporre una particolare scelta aziendale (ad esempio in materia di ristrutturazione o di fusione), solo perchè tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale9.

In definitiva occorre sottolineare come il comportamento corretto del contribuente non può certamente essere rappresentato esclusivamente dalla condotta fiscalmente più onerosa:10 un risparmio d'imposta può essere valutato come illegittimo qualora il contribuente abbia fatto un uso distorto11 delle regole offerte dalla disciplina vigente.

Si tratta di una soluzione prevista proprio dall'art. 37 bis, il quale è strumentale a distinguere - in maniera netta - i comportamenti tesi al raggiungimento di un mero risparmio di imposta (legittimi) e quelli elusivi (illegittimi), nonché ad estendere l'ambito di indagine all'intero “disegno” messo in atto dal contribuente, senza limitarsi ad una valutazione delle singole operazioni12.

Ne discende de plano che la giurisprudenza dovrà fissare equamente dei “paletti”, ovvero prendere atto della necessità di trovare una giusta linea di confine tra una legittima pianificazione fiscale e tutelare in modo incisivo la libertà aziendale del soggetto, condannando particolari condotte fiscali, laddove la libertà manifestata coincida con una volontà abusiva (c.d. abuso di libertà), volta a scardinare (o manipolare) i principi del sistema tributario.

Ebbene, l'applicazione del principio dell'abuso di diritto deve essere valutata con estrema cautela: l'Amministrazione Finanziaria deve avere cura di valorizzare (e non condannare ex ante) le ragioni imprenditoriali di natura extra fiscale, le quali, seppur non si traducono immediatamente in maggiori profitti per il contribuente, risultano idonee al miglioramento dell'assetto strutturale/organizzativo dell'esercizio dell'attività di impresa13.


 

1 Nello stesso senso si veda la R.M. 15.7.99, n° 117/E.

Il parere del Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive 21.02.2000, n° 4 ha precisato che il giudizio sull’esistenza delle “valide ragioni economiche” cui fa riferimento l’art. 37 bisdeve essere condotto avendo riguardo al concreto atteggiarsi dell’operazione prospettata e in base a criteri oggettivi, con riferimento cioè ai soggetti che pongono in essere il negozio”.

2 Cfr. Cass., n° 8772 del 2008.

3Accertamenti e Riscossione, AA. VV., Edizioni Ipsoa Gruppo Wolters Kluwer, 2011;

4 Cass., n° 1465/2009;

5Cass., n 25374/2008;

6Sempre in linea a questa interpretazione, si richiama anche una sentenza della C.T.P. di Prato n° 65 del 29 giugno 2011, la quale ha stabilito che non è vietato al contribuente ricercare legittimamente un risparmio di imposta scegliendo nell’ambito della normativa fiscale vigente gli atti che glielo consentano.

7In breve, l'organo giudicante deve analizzare la natura del confine sussistente tra decisioni afferenti la gestione e pianificazione aziendale (sotto un profilo prettamente fiscale) e in ogni caso la libertà di poter scegliere la forma giuridica dell'operazione (ad esempio in una ristrutturazione societaria).

8Ad integrazione di tale principio pare ragionevole ritenere che nella valutazione di un'operazione commerciale, la medesima sia stata effettuata per un determinante scopo di risparmio fiscale ovvero se il contribuente fosse stato in grado di dimostrare, al contrario, che l'operazione rientrasse in una normale logica di mercato e fosse funzionale a conseguire ragioni extrafiscali, diverse dal mero risparmio di imposta.

9Su questo punto, pare doveroso menzionare la pronuncia della Corte di Cassazione, n° 1372/2011;

10“Sull'abuso di diritto parola alla legge” di Maurizio Leo su “Il Sole 24 Ore” del 3 dicembre 2011.

11In forza di tale principio “non è lecito utilizzare abusivamente, e cioè per un fine diverso da quello per il quale sono state create, norme fiscali (lato sensu) di favore”, cfr. Cass., n° 30055/2008.

12Manuale dell'Accertamento delle Imposte, di Saverio Capolupo, Edizioni Ipsoa Gruppo Wolters Kluwer, 2011.

13“Il giudice fa un passo indietro rispetto alle scelte d'impresa” di Giuseppe Marino, in “Italia Oggi” del 24 gennaio 2011.